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Posted by on domenica, Febbraio 11, 2024 in Arti Marziali, Libri |

Dal tuo cuore al mio

Il libro del Maestro Giuseppe Meloni non è una semplice autobiografia ma un excursus in una fase storica centrale del karate in Italia : il passaggio dal karate sportivo alla scoperta degli stili tradizionali di Okinawa. La vita del Maestro si snoda nella ricerca affannosa delle origini, individuate per la prima volta nella palestra del Maestro Brian Sinclair in Inghilterra, con una tensione verso la fonte originaria del karate e del kobudo che alla fine approderà nell’isola di Okinawa, il luogo dove tutto ha avuto origine.

Le memorie personali si intrecciano quindi alla ricerca storica: il volume offre anche un quadro delle origini dell’ arte marziale in questione e da una precisa e puntuale introduzione dello storico (e praticante del karate antico) Bruno Ballardini. Un libro da non perdere e su cui riflettere.

Giuseppe Gyōji Meloni, Dal tuo cuore al mio, Spazio gemma, 2023, 15 euro.

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Posted by on domenica, Luglio 16, 2023 in Arti Marziali, Wurstel |

Classici rovinati

Una sera d’estate, in attesa di scoprire una serie che avvinca, decido di riscoprire una storia classica: i sempreverdi Tre Moschettieri. Su una ben nota piattaforma trovo una versione abbastanza recente (2018) per scoprire solo all’ultimo momento che trattasi di produzione italiana. Decido di superare le mie ben note (e fondate) diffidenze verso il cinema nostrano e provo a dargli una chance: dopotutto, mi dico, per rovinare la perfetta macchina narrativa di Alexandre Dumas padre (con la collaborazione di Auguste Maquet e innumerevoli ghostwriters) ce ne vuole. Ebbene, ce n’è voluta, ma Moschettieri del Re (regia di Giovanni Veronesi, sceneggiatura di Veronesi stesso e di tal Nicola Baldoni) ha superato brillantemente la prova, trasformando un classico senza tempo in una marmellata senza senso. Il film (che porta il sottotitolo La penultima missione) sceglie di non adattare uno dei tre romanzi della saga dumassiana, ma di scrivere una storia originale, praticamente una fanfiction (e ci può stare). L’azione è situata “nel 1650 suppergiù”, ovvero venticinque anni dopo i Tre Moschettieri canonici, e inizia nel modo classico di un sequel: la regina Anna d’Austria (allora reggente in vece del minorenne Luigi XIV, in perenne conflitto con il Cardinale Mazarino) richiama i Tre (anzi Quattro) più o meno felicemente pensionati, per una pericolosa missione. D’Artagnan si è ritirato in campagna, dove alleva maiali e fa il porco con le mogli dei vicini. Stranamente, l’interprete Pierfrancesco Favino presta al personaggio un inopinato e caricaturale accento francese, un tantino incongruo in una storia ambientata in Francia. Athos (Rocco Papaleo) è diventato un vizioso castellano bisessuale dall’accento vagamente lucano. Aramis (Sergio Rubini), più canonicamente, si è fatto frate dall’accento sardo. Infine, Porthos è diventato un patetico rottame alcolista. Lo interpreta Valerio Mastandrea, che recentemente ha prestato la voce all’Armadillo, la coscienza cinica del fumettaro Zerocalcare, ovviamente in romanesco stretto. Anche per questo mio marito, reduce dal binge-watching di Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, da quel momento ha smesso di prendere il film sul serio, visto che ogni volta che sentiva parlare Porthos gli veniva di visualizzare un armadillo arancione antropomorfo. Fosse stato solo questo il problema! La realtà è che il film si è trascinato per un’ora e quarantacinque minuti in modo inconcludente, con gag volgari, recitazione improbabile, borbottii incomprensibili che fanno tanto “cinema italiano”. Poco credibile la missione affidata ai Moschettieri, che dovrebbero salvare gli Ugonotti (tra i quali inopinatamente viene a trovarsi il drammaturgo Molière) dalle mene di Mazarino (Alessandro Haber) il quale rotea gli occhi e ammazza disinvoltamente i suoi stessi subalterni come un cattivaccio da fumetto di serie C. Compare a un certo punto la femme fatale Milady (che però non è la stessa Milady dei Tre Moschettieri, visto che non conosce nessuno degli eroi e nessuno la conosce), senza dimenticare un servo muto che è una sorta di androide quasi invulnerabile. Verso la fine l’azione comincia a diventare ancora più incoerente: la dama di compagnia della regina e gli stessi Moschettieri riescono a coprire distanze di migliaia di chilometri a cavallo in poche ore; Milady si trasforma in un corvo nero e sparisce; il giovanissimo Re (non ancora) Sole viene rapito da ignoti e portato al confine con la Spagna; i poveri ugonotti da salvare vengono dimenticati e mai più menzionati. Di colpo, dissolvenza e (trovata che in tutte le scuole di sceneggiatura viene altamente sconsigliata) si scopre che la vicenda era stata tutta (tutta? anche le scene di sesso esplicito?) immaginata da un ragazzino dodicenne, che in attesa dei funerali di uno zio si era messo a leggere, per scacciare la noia e il dolore, un libro illustrato chiamato per l’appunto Moschettieri del Re. Il ragazzino scende in salotto e lì scopriamo che tutti i personaggi della storia avventurosa sono in realtà la trasfigurazione dei suoi parenti (Mazarino è il nonno carogna, il Servo Muto lo zio morto e così via). E qui la storia finisce, nella proverbiale coda di pesce.

Incredibilmente, il film (insignito nel 2019 del Premio Flaiano, probabilmente durante un momento di ubriachezza molesta della giuria) ha avuto un seguito, cosa che non si dovrebbe mai fare quando il primo film termina spiegando che Era Tutto Un Sogno. Nel 2020 è infatti uscito Tutti per 1 – 1 per tutti, opera recidiva dello stesso regista e degli stessi sceneggiatori. Stavolta il film comincia ai giorni nostri (2020) in piena epidemia di COVID: il ragazzino del primo film (che si chiamava Antonio e ora si chiama Uno) vive l’ultimo girono di scuola (tutti sfoggiano una stupenda chirurgica azzurra anziché le FFP2 che erano di rigore) e il maestro invita la classe a salutare la graziosa compagnuccia Ginevra (di cui tutti i maschietti, Uno compreso, sono segretamente innamorati) che parte per l’Inghilterra al seguito della madre. Dopo avere goffamente abbracciato Ginevra, Uno cominia a fantasticare e si ritrova protagonista della nuova avventura dei Moschettieri, chiamati dalla regina Anna a scortare Enrichetta d’Inghilterra in Olanda per dare in sposa la figlioletta Ginevra al principe d’Orange. Qui la licenza storica comincia a diventare eccessiva, visto che la vera Enrichetta nacque nel 1644, morì a 26 anni (qui il personaggio è quasi quarantenne) e non ebbe mai una figlia a nome Ginevra. Il film elimina un po’ di personaggi che erano centrali in quello precedente: non compaiono più Mazarino e Luigi XIV, ma soprattutto i Tre Moschettieri sono tornati Tre perché Aramis è morto (non vengono mai citate le circostanze ma si allude al fatto che siano vergognose): forse Sergio Rubini aveva litigato col produttore? Aramis comunque si è opportunamente reincarnato in un grazioso lupacchiotto (!) che fa da guida spirituale al giovane Uno. Con la partecipazione straordinaria di Cyrano de Bergerac e della Corte dei Miracoli, stranamente trasferita in campagna. Il film è venti minuti più lungo del precedente e se possibile ancora più sconclusionato, e secondo il benevolo giudizio di Wikipedia vorrebbe ricalcare la metanarrazione di La Storia Infinita, con l’alternarsi di sequenze reali e oniriche. La vicenda infatti si conclude con l’assalto dei Tre Moschettieri al furgoncino che porta Ginevra e la madre all’aeroporto: il piccolo Uno la rapisce per sé e vissero tutti felici e contenti. Si noti la visione tipicamente patriarcale delle donne nel film, dove esse sono tutte o vogliose più o meno represse (un picco del trash è la scena di sesso “a pecora” tra la regina Enrichetta e d’Artagnan, oltretutto inutile nell’economia narrativa), o damigelle in pericolo passive e contese tra Buoni e Cattivi come un baule di dobloni (Ginevra).

La conclusione è quanto mai diseducativa visto che – con l’alibi della Fantasia e dell’Immaginazione – si invitano i giovani maschi a non accettare la frustrazione sentimentale (ci può stare che la compagna di scuola che ti piaceva si trasferisca in un altro paese – ti fai dare l’indirizzo e vi scrivete, o vi messaggiate con Skype e simili, no?), ma a prendersi con la forza (e con l’aiuto di amici immaginari potenti e invincibili) ciò che il destino ti nega.

Direi che per quest’estate ho fatto il pieno di masochismo cinematografico. Da ora in poi, solo classici sperimentati.

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Posted by on sabato, Luglio 8, 2023 in Arti Marziali, Libri |

La spada giapponese

Un viaggio appassionato e appassionante dai primordi della storia del Giappone (la nascita della spada nipponica affonda le radici nelle leggende più remote e affascinanti del Paese).

Claudio A. Regoli (uno dei pionieri del Katori Shinto Ryu in Italia, direttore di due riviste di arti marziali) ci accompagna lungo tutto un viaggio: non solo della spada ma di tutte le principali armi bianche  della tradizione giapponese.

Il volume è corredato di tavole che illustrano le tecniche di lavorazione dell’arma, i dettagli del taglio, evidenziando le sottili differenze. L’Autore si sofferma anche sulla forgiatura e la politura, fasi fondamentali di lavorazione. Dopo un’ampia sinossi storica segue una panoramica delle scuole di scherma tradizionali e più recenti per finire poi in un capitolo che illustra nel dettaglio tutti i principi e le applicazioni del Kendo, moderna evoluzione agonista di un secolare percorso.

La riflessione che ne scaturisce non è eludibile: perché si continua a praticare l’arte della spada in un’epoca così distante dal nostro mondo?

“Vi è il piacere di mantenere in vita una realtà storica importante e la sensazione di partecipare a una realtà che si è sviluppata e si mantiene attraverso una catena ininterrotta di adepti (…)  Se oggi non è più importante la meta è tuttavia molto interessante e istruttivo il viaggio in sè” (p. 70).

Molto bello anche l’apparato illustrativo.

Claudio A. Regoli. La spada giapponese. Storia, tecnica e cultura, The Ran Network, 2023.

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Posted by on sabato, Gennaio 7, 2023 in Arti Marziali, Politica |

Il Giorno del Gattone Grasso

Ieri in Italia non era solo la Befana. Era anche il Fat Cat Day. Non si tratta di una festa dedicata ai nostri amici felini, ben noti per il loro amore sviscerato per l’ozio e le sane mangiate. Fat Cat, nei paesi anglosassoni, denomina il ricco avido di guadagno, spesso con forti entrature nella politica.

La ricorrenza è stata inventata dallo High Pay Centre, un gruppo di ricerca britannico. Essa celebra – ironicamente e a scopo di sensibilizzazione – il giorno dell’anno in cui la retribuzione media dei supermanager delle 100 principali società quotate alla Borsa di Londra eguaglia la retribuzione media annua di un lavoratore dipendente. Tale traguardo è stato raggiunto il 5 gennaio, ovvero in cinque giorni un CEO britannico guadagna quanto un lavoratore in tutto l’anno. Da noi stiamo solo un po’ meglio: il Fat Cat Day 2023 cadeva il 6 gennaio (nel 2022 era il 7 gennaio).  A calcolare è l’Osservatorio di JobPricing. Il parametro di riferimento è la busta paga del tipico dipendente del settore privato e il campione di riferimento sono le 210 aziende quotate a Piazza Affari.

Il Fat Cat Day ricorda un poco il più noto Earth Overshoot Day, la data dell’anno in cui la domanda di risorse ecologiche da parte dell’umanità supera la capacità di rigenerazione della Terra (nel 2022 cadde il 28 luglio, nel 2021 il 29 luglio).

Degrado del pianeta e ingiustizia sociale scandalosa avanzano inesorabilmente. E i ricchi epuloni oggi, non contenti di vestirsi di porpora e di bisso e festeggiar splendidamente (cfr. Luca 16: 19) ogni giorno occupano i mass media e le reti sociali per fare la predica ai poveri Lazzari, rei di non essere abbastanza meritevoli, competitivi e “occupabili”.

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Posted by on martedì, Novembre 1, 2022 in Arti Marziali, Pillole di Blog |

La città prenotata

Approfittando del ponte di Halloween (o di Ognissanti per coloro -come una mia ex collega – a cui la ricorrenza celtica pare farina del sacco del Demonio), ci siamo regalati tre giorni a Reggio Emilia, uno dei capoluoghi del Nord Italia che finora avevamo trascurato. Una bella vacanza, al netto degli ormai consueti disservizi di Trenitalia che ci hanno costretto, durante il viaggio d’andata, a percorrere la tratta intermedia Fidenza – Parma con pullman sostituivo. Abbiamo così potuto imparare che a Fidenza le stazioni sono proprio prospicienti al cimitero, e che l’associazione tra fascisti al governo e treni in orario è una bufala. La città, il cui centro storico segue ancora lo schema squadrato degli antichi romani, è gradevole e merita la sosta. Abbiamo dormito in un bell’ostello a due passi dalla Basilica della Ghiara, una delle chiese più imponenti e ricche di tesori artistici della città. Per coincidenza, nel weekend all’ostello si teneva l’incontro nazionale del movimento Non Una di Meno: un centinaio di giovani donne (soprattutto) e uomini a parlare di azioni contro il patriarcato, il razzismo, la violenza. Per questo tipo di incontri l’ostello, con il suo grande chiostro e le sue ampie sale interne è proprio adatto, e sabato ci siamo addormentati al suono del Pueblo Unido e altri evergreen dello schitarramento militante. Questa nuova generazione di attivisti sembra avere lo stesso canzoniere che avevamo noi negli anni Settanta e Ottanta: non se è una cosa gratificante o preoccupante.

Altro tocco vintage, ma meno piacevole, è stata la debolezza, per non dire latitanza, del segnale wi-fi nella struttura.

Chi dice Emilia dice buona cucina e grandi mangiate. Ciò è stato vero solo in parte: nel fine settimana tutte le trattorie e osterie più promettenti ci hanno accolto col cartello COMPLETO o con la fatale domanda Avete prenotato? Respinti più volte, siamo andati letteralmente a ramengo, ripiegando in effetti per ben due sere su un minuscolo locale di Ramen e altre specialità nipponiche chiamato appunto RamenGo. Per la cronaca, nonostante alle 20 il posto fosse completamente vuoto, anche lì ci hanno fatto la fatale domanda, ammettendoci obtorto collo nel locale con la raccomandazione di sgomberare per le 21. Solo il lunedì a pranzo – naturalmente prenotando ma stavolta mezz’ora prima – abbiamo potuto goderci un’osteria tipica, trovata per caso, che ha ripagato la fatica.

A proposito di Giappone, un altro legame tra Reggio e l’arcipelago è la presenza di un importante capolinea denominato parcheggio Funakoshi, in onore del fondatore dello stile Shotokan di Karate, autore della famosa massima Karate ni sente nashi (il Karate non conosce primo attacco).

Ultima dritta per i viaggiatori dal budget stretto: tutti i musei comunali sono gratuiti, anche se alcuni – come i Musei civici – possono risultare deludenti. Non c’è una vera e propria pinacoteca, molti capolavori artistici sono visibili nelle chiese (che ho trovato piuttosto buie negli interni) e molti altri, secoli fa, presero la via dell’estero (specialmente Dresda) perché gli Este avevano le mani bucate. Per concludere, segnalo che la basilica principale (San Prospero) come in altre città (ad esempio ad Ancona san Ciriaco) presenta sulla facciata delle statue di leoni in rosso tardoromanico. Al contrario che altrove, qui è socialmente accettato, se non addirittura incoraggiato, che bambine e bambini salgano a cavallo dei suddetti leoni. Forse una reminiscenza di antichi riti di passaggio?

 

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Posted by on domenica, Agosto 7, 2022 in Arti Marziali, Libri |

Percorrendo la via del guerriero

L’autore, Carlo Caprino, fine marzialista e praticante di Aikido e Tai Chi, avrebbe potuto fare un libro autobiografico, che sarebbe comunque stato interessante e pertinente. Materiale ne aveva: l’esempio del nonno fabbro (professione che in alcune civiltà ha un valore iniziatico), unito all’antica saggezza del nostro Sud e della Puglia, ricca di cultura, sarebbero bastati a fare da filo conduttore del processo di individuazione che investe il praticante di arti marziali.

Ma Carlo è anche uomo di lettere e di pensiero; e in questa sua ricchissima dissertazione ha toccato tutti gli esempi storici ed iniziatici che la pratica marziale comporta.  Nei capitoli che si succedono (cito secondo me i più pregnanti: Inizio, Per chi suona la campana, Strumenti) l’analisi del cambiamento del praticante passa attraverso l’esempio di molti maestri spirituali, da Gesù a Buddha, da Guénon al contemporaneo Filippo Goti. L’autore è grato a queste figure che hanno profondamento accompagnato la sua riflessione e il suo percorso di maturazione e di crescita umana, spirituale e marziale. La retrospettiva storica che Caprino ripercorre nella sua riflessione non lascia indietro neppure l’aspetto iniziatico e cabalistico del combattimento, che costella tutta una vita di pratica marziale e che mai finirà. Una bella pagina che si affaccia sull’infinito.

Carlo Caprino, Percorrendo la Via del Guerriero, Indipendently published, 2022, euro 16,84.

Disponibile su Amazon; sito percorrendolaviadelguerriero.blogspot.com – mail [email protected]

 

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