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Posted by on domenica, Luglio 4, 2021 in Arti Marziali |

Kate spaccatutto!

Tutti conoscono il Piccolo Teatro di Milano, fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, e la sua meritoria azione culturale che dura da circa settantacinque anni. Ma stavolta non vi voglio segnalare un nuovo allestimento di Brecht o Shakespeare, né una prova d’attore o la proposta di un autore emergente. Del resto, tra stagione estiva e ripartenza graduale post-pandemica, per gli spettacoli nel senso classico del termine dovremo attendere l’autunno, se tutto va bene. Ma questa proposta è troppo ghiotta per non parlarne.

Dal 21 al 23 luglio ci sarà, nella sede del Teatro Strehler di largo Greppi (M2 Lanza), l’installazione Worktable, a cura di Kate McIntosh, artista neozelandese di stanza a Bruxelles.

Come dice la locandina:

Worktable si sviluppa in una serie di stanze. Effettuato l’accesso, ci si può trattenere a piacimento. Una volta all’interno, troverete istruzioni, utensili ed equipaggiamento di sicurezza per mettersi al lavoro: sta a voi scegliere come gli oggetti dovranno andare in pezzi. Noi vi diamo il martello, il resto è compito vostro. Entrate e… al lavoro!

Al modico prezzo di 12 euro (meno di una seduta di psicoterapia) ci si può sfogare a spaccare tutto. Il patetico cagnolino sbrecciato che si vede nell’illustrazione fa pensare a uno di quegli orribili oggetti regalati da parenti antipatici o amici inopportuni per le feste comandate, che per amor di quieto vivere si è costretti a conservare.

E diciamocelo: dopo diciotto mesi di isolamento, stress, DAD, smart working, rientri in presenza e riunioni da remoto, illusorie aperture e precipitose chiusure, lotte con la burocrazia per ottenere vaccini e pass, chi non avrebbe voglia di scatenarsi in una sana orgia di distruzione, in ambito controllato e sanificato? Anche lo Steppenwolf di Hermann Hesse, che pure non era stato in lockdown, si sentiva una voglia folle di fracassare qualche cosa, non so, un magazzino o una cattedrale …

Il guaio è che, purtroppo, in quella settimana sarò al mare e non potrò fruire di questa valvola di sfogo. Ma a chi può la raccomando. Vuol dire che mi sfogherò svuotando lo sgabuzzino.

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Posted by on sabato, Febbraio 1, 2020 in Arti Marziali |

La settimana di Sanscemo

Passati i Giorni della Merla (mai così caldi), passata la Candelora, torna “quel” periodo dell’anno. La settimana colonizzata dal Festival della Canzone Italiana, ovvero – come lo chiamiamo nel nostro lessico familiare – il Festival di Sanscemo. Da martedì a domenica possono accadere epidemie, guerre, tsunami, disastri aerei: l’Italia si ferma per le canzonette. Come diceva Sergio Caputo, la radio mi pugnala con il festival dei fiori. E non solo quella: giornali, televisioni, rete e social network. Persino la grande telenovela monosessuale, il Campionato di Calcio, renderà omaggio al Festival: come ben sa mio marito, le dirette radiofoniche degli anticipi del sabato sono soppiantate e vampirizzate dalla diretta delle canzoni. Anche i politici più attivi sulla rete si adattano al palinsesto: sbarchi di profughi, efferati delitti, malefatte della Casta non fanno notizia, conta di più chi vince la kermesse (l’anno scorso la vittoria di un tal Mahmood rispetto al favoritissimo Ultimo scatenò la rabbia dei sovranisti che la additarono come prova della Sostituzione Etnica in atto e dell’attuazione del famigerato Piano Kalergi). Per tenere buona la sinistra, basta un ospite che cita Gramsci o fa un appello umanitario, e sembra si sia realizzato il socialismo. In mancanza di meglio, c’è sempre la solita e strapagata comparsata di un Benigni sempre più trombonesca ombra del grande trasgressore che fu (ma guai a dirlo, che si fa il gioco degli haters della destra). E le canzoni, che dovrebbero essere il core business della faccenda? Tutte dimenticabili, fatte con lo stampino: le poche che meritano qualcosa, le ascoltiamo qualche giorno dopo in Rete (e prima c’era Blob, c’era la radio …) e in genere non vincono mai (tipo La terra dei cachi, o Vita spericolata che ottenne un epico venticinquesimo posto).

Quest’anno tira molto l’invito a boicottare Sanremo. Due sono i buoni motivi: il primo è il vetero-maschilismo del neo-direttore artistico Amadeus, divenuto noto per l’elogio delle “belle donne” che “sanno tenersi un passo indietro rispetto al loro uomo”. Il secondo è la presenza tra i concorrenti del rapper Junior Cally, nel cui curriculum figurano testi inneggianti alla violenza sulle donne. Ottimi motivi, ma io Sanremo lo boicotto da sempre. Sono decenni che non fermo il telecomando sul concorso canoro (e poi c’è il Prefestival, il Dopofestival, il Dietro le Quinte, i Commenti degli Esperti, manca solo la moviola), anche perché due sere la settimana vado in palestra. Francamente, c’è di meglio da fare nella vita che sparapanzarsi davanti a uno spettacolo mediocre, e poi lamentarsi col mondo intero di quanto era mediocre.

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Posted by on domenica, Settembre 8, 2019 in Arti Marziali |

Social Fight Club

Da assidua praticante di arti marziali, qualche volta mi illudo che Facebook debba funzionare come un dojo. Regole precise, volontà di migliorare e migliorarsi, autocontrollo, intervento di persone autorevoli se le situazioni degenerano, soprattutto rispetto per tutte e tutti, specialmente gli avversari. La realtà è che funziona più come un Fight Club di periferia, dove la gente va per il gusto di menare, sfogarsi, tirare colpi bassi là dove più male. Purtroppo succede non solo con gli haters o i troll di professione, ma ancvhe tra i “nostri”. Molti amano atteggiarsi a custodi di un rigidissimo codice di correttezza politico – linguistica che poi sono i primi a violare. Basta un fraintendimento e subito piovono le peggiori accuse. E i fraintendimenti sono facili perché uno magari scrive in fretta, e soprattutto non ci si vede in faccia, quindi non c’è l’ausilio della gestualità o della prossemica. Eppure, prima di sparare a zero, basterebbe un messaggio in privato per chiedere chiarimenti. In alternativa, vale sempre la regola di pensarci dieci volte prima di scrivere, e di evitare di puntare il ditino su ogni minuzia.

Anche perché, ragazzi, lasciatevelo dire: volete fare il Fight Club, ma non siete belli come Brad Pitt.

 

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Posted by on mercoledì, Maggio 1, 2019 in Arti Marziali |

Le palle del drago

Il 30 aprile, per me, è un anniversario importante. Quel giorno, infatti, ho lasciato la mia prima scuola di Karate. Dovetti ricominciare tutto da capo, ma ne è valsa sicuramente la pena. Era diventato impossibile interagire con la mia istruttrice, che, per non fare nomi e per comodità, chiamerò Chichi, come la moglie di Goku in Dragon Ball. A un mese dalla cintura nera, Chichi mi disse urlando, davanti a tutto il dojo, che non avevo capito un Katsu del Karate e che non sarei mai riuscita a progredire. La lasciai e ricominciai in un’altra scuola, quella di Kaioshin, sotto la guida del sensei Goten.

Ero rimasta, però, in buoni rapporti con Videl, allieva e collaboratrice di Chichi: ogni tanto ci vedevamo, anche se lei tentava di convincermi di certe strampalate teorie, come la Dieta dei Gruppi Sanguigni. Videl diventava sgradevole quando parlava male della mia scuola di Karate, dicendo che lo stile di Kaioshin non era efficace, specialmente in combattimento. Alla fine, dopo avere litigato anche con Chichi, Videl divenne un cane sciolto. Sosteneva di far riferimento al maestro Muten, insuperabile guerriero di Namecc.

Un giorno, io e Goten, durante le semifinali del Torneo del Drago, avemmo l’opportunità di allenarci con l’autorevole maestro Balzar. Chiacchierando a proposito delle nostre esperienze marziali, Balzar, che era stato più volte su Namecc, ci raccontò che, sul pianeta, questo Muten non era molto considerato. I suoi Kata erano in realtà molto elementari, e avevano pochissime attinenze con la scuola tradizionale di Mutaito, di cui Muten si proclamava il miglior allievo. Devo confessare che mi ha dato una gioia maligna – quella che i tedeschi chiamano Schadenfreude – sentire clamorosamente smentite le pretese di Videl, che più volte era stata sprezzante e ultracompetitiva, parlando male gratuitamente della mia scuola e dei miei Maestri. Non c’è stato bisogno di ricorrere alle Palle del Drago per vedere soddisfatto il mio desiderio di vedere le Palle di Videl afflosciarsi miseramente.

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Posted by on domenica, Marzo 24, 2019 in Arti Marziali |

Nella terra della faida

Dici faida e pensi subito alla mafia, alla ‘ndrangheta, a paesini còrsi o calabri dove si aggirano minacciosi uomini con coppola e lupara. Ma “faida” è un termine settentrionalissimo, di origini medievali. Viene infatti, secondo il dizionario Garzanti, dal longobardo fahida (“diritto di vendetta privata”), in altotedesco fehida (moderno Fehde).

Udine, dove siamo stati tre giorni a Carnevale per una breve vacanza cultural -gastronomica, è stata terra longobarda, ma ben pochi, fuori dal Friuli, sanno che fu teatro di faide durate secoli. Le famiglie nobili si dividevano tra filo-veneziani e filo-imperiali; il tutto complicato dalle alterne vicende del Patriarcato di Aquileia. I contadini, in parte manovrati da una famiglia contro l’altra, in parte desiderosi di levarsi di dosso il peso del signoraggio feudale e delle corvées, furono protagonisti di numerose rivolte. In particolare, il 27 febbraio del 1511, scoppiò quella che in veneto è chiamata la Crudel Zobia grassa (in friulano Crudel Joibe Grasse), cioè “il crudele giovedì grasso”. considerata la più imponente rivolta contadina del XVI secolo in Italia, seconda solo alle guerre dei contadini nella Germania di Lutero e Müntzer. Secondo gli storici dell’epoca, il tutto fu innescato da Antonio Savorgnan, appartenente alla più potente delle famiglie filo-veneziane (partito degli Zamberlani). Costui inscenò un attacco degli imperiali, sollevando il popolo a difesa della città, e additando come traditori i nobili del partito filo-austriaco degli Strumieri. Così, molti membri delle famiglie Della Torre, Colloredo, Della Frattina, Soldonieri, Gorgo, Bertolini e altre furono trucidati, i loro cadaveri furono spogliati e abbandonati per le vie del centro, se non lasciati come pasto ai cani o trascinati nel fango e poi gettati in prossimità dei cimiteri. I rivoltosi indossarono poi gli abiti dei nobili inscenando una macabra mascherata e imitando i modi degli originari possessori incarnando di fatto lo spirito di “inversione delle parti” tipico del Carnevale (fonte: Wikipedia). La rivolta contadina si estese, dirigendosi anche contro gli stessi Savorgnan che l’avevano fomentata. Gli Strumieri e i veneziani stessi si allearono per soffocare l’insurrezione, che fu definitivamente sconfitta in battaglia presso il fiume Cellina. Uno dei capi della rivolta fu impiccato per dare un macabro esempio agli altri. Il 26 marzo, meno di un mese dopo il fatale giovedì grasso, un terribile terremoto colpì la regione facendo migliaia di vittime. Per non farsi mancare niente, in seguito scoppiarono pestilenza e carestie, interpretate come punizione divina. Un anno dopo, il 27 marzo 1512, Antonio Savorgnan, istigatore del tumulto, fu ucciso, all’uscita del duomo di Villach, per mano dei nobili di Spilimbergo e di Colloredo. Seguì un’altra trentina di anni di vendette e controvendette, finché, nel 1549, il governo della Serenissima confiscò i beni della casata Savorgnan, ne fece distruggere il palazzo, lasciandone i ruderi come monito nella place de ruvine (oggi piazza Venerio). Altro che Gomorra!

Ciliegina sulla torta, si racconta che, proprio alla vigilia della Crudel Zobia, nel corso di una festa di carnevale scoppiò l’amore tra Luigi da Porto e Lucina Savorgnan, cugini e membri di due rami rivali della famiglia. Gli udinesi sostengono che fu la storia di Luigi e Lucina a fornire l’ispirazione a Shakespeare per la ben più nota tragedia di Giulietta e Romeo. Sarà vero? O è il solito campanilismo, come quello delle sette città greche che si contendono l’onore di aver dato i natali a Omero?

Tutte cose a cui non si pensa quando si degusta un buon San Daniele accompagnato da un vinello locale …

 

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Posted by on sabato, Gennaio 19, 2019 in Arti Marziali |

Keep calm and carry on

Spesso è difficile mantenere la calma nei ritmi quotidiani di Milano. Mia figlia dice che, rispetto a New York, la metropoli lombarda ha le suggestioni arcadiche del paesello, mentre a me pare di correre dalla mattina alla sera, e soprattutto di spendere un sacco di energie per affrontare un problema dopo l’altro. Purtroppo le forze le devo risparmiare: l’età avanza, ma è ancora presto per andare in pensione. Mi sono proposta di seguire qualche indicazione per non arrivare come uno straccetto a fine giornata:

1) Respirare. Seguire nei momenti critici la regola di fare un respiro profondo, di pancia, trattenendo l’aria ed espirando con la bocca. Funziona, non solo in palestra.

2) Evitare la gente molesta. Quella che ti fa perdere tempo, perché fa critiche inutili, che non portano benefici, ma che denotano solo invidia, competizione, voglia di ferire. Se si ha a che fare con questa gente al lavoro, limitare i danni e rimanere esclusivamente sul piano operativo. Altrimenti, mollare i rapporti, cancellarli dai social, se necessario bloccarne il numero di telefono.

3) La pennichella. Se si può, una mezz’ora di riposo dopo i pasti è un toccasana contro il logorio della vita (post) moderna. Ovviamente, fare attenzione, prima di stendersi sul letto, a scollegare e disattivare qualsiasi dispositivo di comunicazione nel raggio di un chilometro.

4) Rispondere “vedrò, vedremo” a chi ti fa proposte indecenti di conferenze, presentazioni di libri, giaculatorie varie, nella sera in cui vai in palestra o hai prenotato il teatro. Ho smesso di fare il giochino e di dire “ma ho la palestra!”, perché tanto dall’altra parte arriva uno scandalizzato “ma come, ma vuoi mettere? per una volta non ci vai!”. Meglio un po’ di ipocrita diplomazia che l’ira dei draghi.

5) Stare un po’ da sola. Chiamatela caverna, spazio, o come vi pare, ma questa opzione gratis è necessaria per ricaricare le batterie.

(Nota: lo slogan che dà il titolo al post risale al 1939, e fu prodotto dal governo britannico per esortare la popolazione a non farsi prendere dal panico in caso di invasione nemica. Direi che con tanti aspiranti eredi di Mussolini e Hitler in giro, ci può stare.)

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