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Posted by on domenica, Maggio 23, 2021 in Midrash |

Omaggio a Bob Dylan – Desolation Row (quarta strofa)

Poiché il lupo perde il pelo, ma non il vizio, Giorgio Guelmani prosegue il commentario al Nobel per la Letteratura 2016. Oggi è il turno della quarta strofa di Desolation Row.

1      Now Ophelia, she’s ‘neath the window
For her I feel so afraid
On her twenty-second birthday
She already is an old maid
5      To her, death is quite romantic
She wears an iron vest
Her profession’s her religion
Her sin is her lifelessness
And though her eyes are fixed upon
10     Noah’s great raimbow
She spends her time peeking
Into Desolation Row

1-4. Ora Ofelia è sotto la finestra, ho così paura per lei.  Al suo ventiduesimo compleanno è già una vecchia zitella.

Ora appare, dall’Amleto di Shakespeare, Ofelia, la triste promessa sposa del principe danese, destinata (spoiler!) a morire suicida per annegamento. Stranamente, non ci viene presentata davanti o dietro la finestra, ma sotto (forse è sotto il balcone di Giulietta, visto che due strofe fa c’era Romeo?). Ofelia ha appena compiuto ventidue anni: da notare che, nel 1965 (epoca di composizione di Desolation Row), compiva ventidue anni Suze Rotolo. Chi è costei? Nata a Brooklyn nel 1943, cresciuta a Sunnyside nel Queens, figlia di attivisti del Partito Comunista Americano, è la ragazza che appare a braccetto con un giovane Dylan, sulla copertina del suo secondo disco, The Freewheelin’. Atttivista antirazzista e antinucleare, conobbe Bob Dylan a un concerto folk nel 1961. Andarono a vivere insieme all’inizio del 1962 (con una pausa di sei mesi perché Suze andò a studiare all’Università di Perugia), e la loro storia terminò nel 1964. Conoscendo Dylan, ci sta che abbia trasfigurato negativamente in una canzone una sua ex. Alla loro rottura è ispirata, in modo anche più crudo, la canzone Ballad in Plain D, decima traccia del suo album precedente, Another side of Bob Dylan.

5-8. Per lei, la morte è piuttosto romantica. Indossa un panciotto di ferro, la sua professione è la sua religione, il suo peccato è la sua mancanza di vitalità.

Dylan continua a delineare un ritratto acido della sua Ofelia -Suze. La descrive come una persona che non ama la vita e ritiene la morte romantica, come una bigotta che indossa un cilicio, come una donna noiosa che prende troppo sul serio il proprio lavoro. Una critica che, rasentando il luogo comune qualunquista, Dylan estende a tutte le persone animate da zelo religioso e/o politico. “La sua professione è la sua religione”, dopotutto, andrebbe bene anche per descrivere il protestante classico, per cui il lavoro è vocazione. Se si intende il nesso predicativo al contrario, si legge una critica contro la religione organizzata e tutti coloro che fanno della loro fede un lavoro.

9-12. E anche se ha gli occhi fissi sul grande arcobaleno di Noè, passa il tempo a curiosare dentro il Vicolo della Desolazione.

In ultimo, ecco l’accusa di ipocrisia: Ofelia tiene lo sguardo fisso sull’arcobaleno (la promessa divina di nuovi cieli e nuova terra? il sol dell’avvenire del socialismo?), ma non può fare a meno di curiosare, anche morbosamente, nel mondo immorale, duro, spietato, eppure così eccitante del Vicolo della Desolazione. Bisogna dire che, come spesso accade, la Suze Rotolo in carne e ossa non seguì il triste destino che il suo ex le presagiva. Wikipedia ci informa che, lungi dal suicidarsi giovane come il suo modello shakesperiano, Rotolo viaggiò per il mondo, si sposò, ebbe un figlio, proseguì nel suo attivismo politico e nel suo lavoro di artista, illustratrice e operatrice di teatro di strada. Partecipò a documentari sulla New York degli anni Sessanta. Morì nel 2011 di cancro al polmone, dopo aver lottato una vita intera per togliersi l’etichetta di “prima musa di Dylan”. Tardivamente, nel 1985, Dylan chiese scusa per la canzone Ballad in Plain D, ammettendo “devo essere stato proprio uno schmuck a scriverla. Tra tutte le canzoni che ho scritto, questa potevo risparmiarmela”. (Schmuck è un termine yiddish che significa più o meno scemo).

Appendice. Anche i Grandi sbarellano.

Come si sarà capito, questa quarta strofa rappresenta il punto più basso del poema dylaniano, con un attacco ad hominem (anzi ad feminam) dalla scarsa portata visionaria. Sarà per questo che la prima versione italiana della canzone, la DADG (1974), ha stravolto la strofa sino a renderla irriconoscibile. Leggiamo come l’hammo fatta diventare De André e De Gregori:

I tre Re Magi sono disperati / Gesù Bambino è diventato vecchio / e Mister Hyde piange sconcertato / vedendo Jekyll che ride nello specchio. / Ofelia è dietro la finestra / mai nessuno le ha detto che è bella / a soli ventidue anni / è già una vecchia zitella. / La sua morte sarà molto romantica / trasformandosi in oro se ne andrà /per adesso cammina avanti e indietro /in via della Povertà.

Ogni commento è superfluo. Può essere interessante annotare che, rivedendo la traduzione nel 2015, Francesco De Gregori ha completamente eliminato la strofa.

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Posted by on venerdì, Maggio 21, 2021 in Midrash |

Omaggio A Bob Dylan – Desolation Row (terza strofa)

 Torna la Desolazione! Giorgio Guelmani insiste nel commentare, verso per verso, l’enigmatica “Desolation Row” di Bob Dylan. 

1      Now the moon is almost hidden
The stars are beginning to hide
The fortunetelling lady
Has even taken all her things inside
5      All except for Cain and Abel
And the hunchback of Notre Dame
Everybody is making love
Or else expecting rain
And the Good Samaritan, he’s dressing
10     He’s getting ready for the show
He’s going to the carnival tonight
On Desolation Row

1-4. Ora la luna è quasi nascosta, le stelle cominciano a nascondersi. La signora che legge la fortuna ha persino portato dentro tutte le proprie cose.

Potrebbe essere una banale descrizione dell’alba (così la interpreta DADG: “mentre l’alba sta uccidendo la luna, e le stelle sono quasi nascoste”), ma sicuramente c’è sotto qualcosa di più, e di peggio. Altrimenti perché l’indovina (che dovrebbe saperne di più degli altri, e svolge i suoi commerci di notte) starebbe portando dentro le proprie cose? Come vedremo nei prossimi versi, si sta preparando una perturbazione temporalesca. TSJ traduce hidden hide con sparita sparire, accentuando il sapore catastrofico della scena. Cfr. Matteo 24: 29 (“la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo”), o Apocalisse 6: 12-13 (“la luna diventò tutta come sangue, le stelle del cielo caddero sulla terra”).

5-8. Esclusi Caino e Abele, e il gobbo di Notre Dame, tutti stanno facendo l’amore, o altrimenti stanno aspettando la pioggia.

Anche in questa quartina, DADG attenua la portata del fenomeno atmosferico in arrivo, chiosando (per esigenze di rima) “aspettando che venga la pioggia ad annacquare la gioia ed il dolore”. Compaiono qui altri tre personaggi dell’immaginario: due dalla Bibbia (Caino e Abele), uno dalla letteratura (Quasimodo, il Gobbo di Notre Dame). Un commentatore americano sostiene che il comportamento di “tutti” rappresenta i possibili modi di affrontare un cataclisma imminente: o annegare le preoccupazioni nell’edonismo (fare l’amore), o prepararsi con fatalismo al Diluvio inevitabile. Ne restano fuori Caino e Abele, prigionieri della loro faida familiare nei rispettivi ruoli di carnefice e vittima, e il Gobbo. Chi è nato dopo il 1990 associa il Gobbo di Notre Dame al cartone animato Disney, che pur non nascondendo gli aspetti più cupi della storia (tra cui l’oscurantismo religioso e il razzismo) trasforma la figura del campanaro sciancato, sordo e orbo in un emarginato dal cuore d’oro, che canta e balla coi Gargoyle come Cenerentola coi topini. Dylan ha invece negli occhi il film muto del 1922, interpretato da uno dei suoi attori preferiti, Lon Chaney, assai più tragico nell’ambientazione e soprattutto nel finale (fedele al romanzo di Victor Hugo). Emarginato persino dalla comunità di spostati del Vicolo Desolazione, Quasimodo non trova conforto nel prepararsi al Diluvio, né c’è nessuno disposto a fare l’amore con lui.

9-12. E il Buon Samaritano si sta vestendo, si sta preparando per lo spettacolo. Stanotte andrà al Carnevale, nel Vicolo della Desolazione.

Ecco un altro personaggio che non partecipa all’agitazione generale per il Diluvio imminente: direttamente dalla parabola di Gesù (Luca 10: 29-37)ecco a voi il Buon Samaritano. Facile immaginarselo davanti allo specchio (RDG: si mette in tiro per il Gran Galà) ad aggiustarsi il cravattino: con una sfumatura che lascia pensare a un tocco d’ipocrisia, DADG precisa “sta affilando la sua pietà”. Altri commentatori suggeriscono, invece, che la sua bontà è autentica. Ed è proprio la sua bontà che gli consente di trovare gioia e divertimento (il Carnevale) nel Vicolo della Desolazione. Egli sa che il Diluvio non è l’ultima parola: dopo verrà l’Arcobaleno (l’arcobaleno di Noè sarà citato nella prossima strofa, la quarta), e quindi può permettersi di progettare il futuro, di prepararsi già all’alba per una festa che avverrà la sera dopo. Un’interpretazione alternativa è che fare il bene degli altri, nel Vicolo della Desolazione, ti rende un fenomeno da baraccone, degno di essere esibito al Carnevale.

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Posted by on giovedì, Maggio 20, 2021 in Midrash |

Omaggio A Bob Dylan – Desolation Row (seconda strofa)

Prosegue il viaggio di Giorgio Guelmani nella poetica di Bob Dylan. Oggi vi proponiamo il commento alla seconda strofa di “Desolation Row” .

1     Cinderella, she seems so easy
It takes one to know one, she smiles
And puts her hands in her back pockets
Bette Davis style
5     And in comes Romeo, he’s moaning
“You Belong to Me I Believe”
And someone says, “You’re in the wrong place my friend
You’d better leave”
And the only sound that’s left
10    After the ambulances go
Is Cinderella sweeping up
On Desolation Row

1-4. Cenerentola sembra così facile. “Chi lo dice sa di esserlo,” sorride. E si mette le mani nelle tasche di dietro, in stile Bette Davis.

Incontriamo qui un primo assaggio di quella che è una costante di Desolation Row: l’affastellamento di personaggi, in parte reali (viventi o no), in parte dell’immaginario. Quello che oggi si chiamerebbe un crossover. Ce n’è un altro esempio nello stesso disco, la canzone Tombstone Blues, dove incontriamo tra gli altri Giovanni Battista, Cecil B.De Mille e Jack lo Squartatore a capo della Camera di Commercio. Qui troviamo subito Cenerentola, più quella di Walt Disney che quella dei fratelli Grimm. Non è però la ragazza passiva in attesa della Fata Madrina o del Principe Azzurro: il suo atteggiamento è disinvolto, quasi provocatorio. Infatti risponde a tono al Narratore, che la definisce “facile”. Viene evocato lo stile di Bette Davis (1908-1989), all’epoca vivente. Non risultano ai commentatori film in cui Davis tenga le mani nella tasca posteriore dei pantaloni: è più un riferimento generico all’assertività mostrata dalla diva in molti suoi film.

5-8. Ecco entra Romeo, sta gemendo. “Tu mi appartieni, credo.” E qualcuno dice “Sei nel posto sbagliato, amico. Faresti meglio ad andartene.”

Come in teatro, ecco farsi avanti un altro personaggio, Romeo. Il giovane innamorato shakesperiano non sembra molto convinto, visto che pronuncia la sua dichiarazione d’amore gemendo e corredandola con un dubitativo “credo”. Forse si aspettava di trovare Giulietta? Puntualmente un ignoto Qualcuno (potrebbe essere la controparte della “squadra antisommossa” della prima strofa), gli fa notare che è nel posto sbagliato. In un certo senso, tutti i personaggi che incontreremo sono nel posto sbagliato, visto che appartengono a realtà e immaginari ben distanti tra loro. In particolare (come si vedrà anche nella settima strofa, col destino di Casanova) il Vicolo della Desolazione non è un paese per seduttori.

9-12. E l’unico suono che rimane, dopo che le ambulanze se ne sono andate, è Cenerentola che spazza nel Vicolo della Desolazione.

Evidentemente Romeo è stato oggetto di violenza, o da parte dell’ignoto Qualcuno o per propria mano. Perché più di un’ambulanza? Probabilmente c’è stata una colluttazione e qualcun altro è rimasto ferito (anche in Shakespeare, Romeo uccide Paride prima di suicidarsi sulla tomba di Giulietta). Cenerentola sembra tornata alla casella di partenza, di nuovo da sola. Ma la sua situazione è peggiorata: la donna sicura di sé è ora la ragazza condannata ai lavori umili. Alcuni commentatori sostengono che l’esperienza dell’incontro mancato con Romeo le ha fatto prendere coscienza della triste realtà del Vicolo della Desolazione. Lo spazzare per terra potrebbe essere una reazione nevrotica, o un tentativo di ripulire il sangue versato nella lotta tra Romeo e i suoi nemici.

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Posted by on lunedì, Maggio 17, 2021 in Midrash |

Omaggio a Bob Dylan – Desolation Row (prima strofa)

Come promesso nel post del 16 maggio, Giorgio Guelmani vi conduce in un viaggio attraverso una delle più famose ed enigmatiche canzoni di Bob Dylan, Desolation Row. Allacciate le cinture, si parte!

They’re selling postcards of the hanging
They’re painting the passports brown
The beauty parlor is filled with sailors
The circus is in town
5       Here comes the blind commissioner
They’ve got him in a trance
One hand is tied to the tight-rope walker
The other is in his pants
And the riot squad they’re restless
10    They need somewhere to go
As Lady and I look out tonight
From Desolation Row

1-4. Vendono cartoline dell’impiccagione, dipingono di marrone i passaporti. Il salone di bellezza è pieno di marinai, il circo è in città.

L’autore ci porta subito nel mezzo dell’azione: sta succedendo qualcosa di anormale. L’impersonale They in inglese può tradurre il nostro si passivante, ma anche il generico Loro riferito a Coloro che Stanno in Alto. Qui si fa riferimento a un fatto ben preciso. Il 15 giugno del 1920 a Duluth (Minnesota), città natale di Bob Dylan,  Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie, tre inservienti di un circo itinerante allora in città (the circus is in town), furono accusati di avere violentato una ragazza del luogo, e impiccati da una folla inferocita dopo un processo sommario. Ovviamente, i bravi cittadini in cerca di giustizia fai-da-te erano bianchi, e i malcapitati capri espiatori erano neri. A maggior spregio delle vittime, cartoline rappresentanti l’impiccagione vennero commercializzate come souvenir turistici. Abraham Zimmermann, padre di Dylan, all’epoca aveva dieci anni e abitava nei pressi. Perché il salone di bellezza (RDG: il bagno turco) è pieno di marinai? Duluth era, ed è, un’importante città portuale: non sul mare, ma sul Lago Superiore. Perché i passaporti vengono dipinti di marrone (dettaglio eliminato da DADG)? Secondo alcuni commentatori *, i nazisti dipingevano di marrone i passaporti degli ebrei; secondo altri, il marrone si riferisce alla divisione delle persone in razze, o alla spersonalizzazione che cancella l’identità del singolo (RDG: girano passaporti senza foto). Come accadrà altrove nella canzone, si allude esplicitamente a un Potere malevolo e totalitario, che può prendere le forme del nazifascismo europeo, o del volto più oscuro dell’America stessa (dai linciaggi al maccartismo, allo strapotere dell’FBI). Infine, si noti che la canzone è l’ultima traccia dell’album Highway 61 Revisited, e la Highway 61 (che parte dal confine canadese) ha termine proprio a Duluth.

5-8. Arriva il commissario cieco, l’hanno messo in trance; ha una mano legata all’equilibrista, e l’altra la tiene nei calzoni.

Il “commissario cieco” dovrebbe rappresentare la giustizia delle istituzioni, che, di fronte alla violenza razzista, non solo è cieca, ma addirittura “in trance”, cioè completamente alla mercé del Potere, non si sa se inconsapevole o complice (TSJ: gli si è procurata un’ipnosi). La giustizia ha, letteralmente “le mani legate” (all’equilibrista, “colui che cammina sulla corda tesa”), forse per indicare i salti mortali che il discorso pubblico fa per giustificare l’ingiustificabile e conciliare l’inconciliabile (l’uguaglianza e il razzismo, le garanzie di libertà e il linciaggio). Ma l’accenno alla “mano nei calzoni” (assente in DADG e RDG), ovvero alla masturbazione, fa pensare che il commissario non solo sia subalterno e complice, ma addirittura che goda della situazione. C’è un aspetto pornografico, nel peggior senso della parola, nella violenza.

9-12. E la squadra antisommossa è instancabile, ha bisogno di qualche posto dove andare. Mentre io e la Signora ci affacciamo stanotte dal Vicolo della Desolazione.

La “squadra antisommossa” (riot squad potrebbe essere anche, al contrario, la Squadra Sommosse) rappresenta le ronde di “bravi cittadini” alla ricerca di niggers o altri “diversi” a cui insegnare le buone maniere a suon di botte o peggio. “Hanno bisogno di un posto dove andare”: se non c’è un’”emergenza sicurezza” o un’infrazione da punire in modo esemplare, se la inventano. Poi il poeta, finalmente, introduce se stesso nella storia. Succederà solo altre due volte: un breve accenno nella quarta strofa (dedicata a Ofelia), e nell’ultima, riprendendo le fila del discorso. Qui “Io” e “La Signora” ci affacciamo (su Duluth, o sull’America razzista) dal “Vicolo della Desolazione”. Di chi e di cosa stiamo parlando? “Io” è Bob Dylan (alias Robert Zimmermann) in persona, e su questo non ci piove. “La signora” (Lady) potrebbe essere Joan Baez (nel 1965, la loro relazione amorosa volgeva al termine). Il personaggio Lady, però, non ritorna più nella canzone (a meno che non sia il “TU” a cui si fa riferimento nell’ultima strofa): tutti sanno che, invece, Dylan amava disseminare le sue canzoni di velenose allusioni alle sue ex, ree di non aver capito il suo desiderio di libertà e autonomia (vedi Don’t think twice, it’s all right).  Per questo, alcuni sostengono che “Lady” sia un omaggio a Billie Holiday (1915-1959), la grande cantante jazz, soprannominata Lady Day. Infatti nel 1939 Billie Holiday portò al successo Strange Fruit, straziante canzone contro l’orrore dei linciaggi composta da Abraham Meeropol. Interpretazioni più fantasiose identificano Lady con Maria di Nazareth (per cattolici e anglicani Our Lady), o addirittura con la Lady del film animato di Walt Disney Lady and the Tramp (noto da noi come Lilli e il Vagabondo).

Infine, Desolation Row. La maggior parte dei commentatori vede nel nome una fusione tra Cannery Row (romanzo del 1945 di John Steinbeck, ambientato in un fittizio vicolo di Monterey, California), e Desolation Angels (romanzo semi-autobiografico di Jack Kerouac, pubblicato nel 1965). Si può vedere anche un richiamo al poema The Waste Land (La terra desolata) di Thomas S.Eliot, e alla misteriosa abominazione della desolazione di cui si parla in Daniele 9:27 (probabile riferimento all’erezione di un altare a Zeus nel Tempio di Gerusalemme da parte di Antioco Epifane) e in Matteo 24:15 (discorso apocalittico di Gesù). Lo stesso Dylan, intervistato il 3 dicembre 1965 a San Francisco, disse genericamente che Desolation Row era un qualche posto in Messico, vicino al confine, famoso per la sua fabbrica di Coca-Cola **. Al Kooper, che suonò la chitarra elettrica in una delle prime incisioni del brano, suggerisce che Desolation Row si trovi a New York, nel Greenwich Village, dalle parti dell’Ottava Avenue, un’area (allora, prima di essere gentrificata) infestata da bordelli, bar loschi e supermercati porno, completamente senza possibilità di rinnovamento o redenzione.

Come vedremo nelle prossime strofe, Desolation Row (Vicolo della Desolazione, ho scelto di tradurre), è un posto strano, duro, pieno di gente poco raccomandabile. Ma questa prima strofa ci dice che è nell’America “normale”, quella delle tante Duluth, che accadono le cose più mostruose. Dylan e Lady si affacciano a vedere l’orrore da fuori, from Desolation Row. Il mese prossimo, analizzando la seconda strofa, entreremo nel Vicolo Desolazione vero e proprio.

*Commentatori: esistono molti siti (soprattutto in inglese) dedicati all’esegesi della produzione dylaniana. Fare tutti i nomi e i eiferimenti significherebbe trasformare questi modesti post in un piccolo Talmud.

** Ma tutti sanno che l’Uomo di Duluth è poco attendibile come biografo e interprete di sé stesso.

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Posted by on domenica, Maggio 16, 2021 in Midrash |

Omaggio a Bob Dylan: Commentario alla Desolazione (prologo)

In vista dell’ottantesimo genetliaco di Bob Dylan, riproponiamo una serie di articoli – debitamente rivisti e corretti -a cura di Giorgio Guelmani, già pubblicati sul blog nel corso del 2017.

Antefatto: lunedì 24 maggio Bob Dylan, alias Robert Allen Zimmermann, compirà 80 (ottanta) anni.

Nell’ottobre del 2016 il Nostro, già settantacinquenne, ricevette il Nobel per la letteratura. In qualche modo un evento temuto e atteso, almeno fin dal 1997, quando il Nobel a Dario Fo aveva dimostrato che l’Accademia di Stoccolma aveva una visione estesa del termine “letteratura”. Furono in molti, allora, a dire La prossima volta lo danno a Bob Dylan, chi auspicando e chi deplorando. (Dove siamo andati a finire, signora mia … ). Come si è visto anche dalle reazioni di molti intellettuali italiani, scandalizzati all’idea del sommo premio a un “menestrello”.

Col consenso della titolare del blog, ho deciso di omaggiare Dylan proponendo un commentario a una delle sue canzoni più famose ed enigmatiche (e, come vedremo, con una politicità tutta sua), Desolation Row. La canzone risale al 1965, ed è la traccia conclusiva del suo sesto album in studio, Highway 61 Revisited. La versione su disco dura 11 minuti e 21 secondi: una vera e propria maratona, tenuto conto che si tratta di una ballata “tutta testo” (c’è solo un assolo di armonica tra la penultima e l’ultima strofa), un po’ come La Locomotiva di Guccini (che si ferma a 8 minuti e 17 nella versione del 1972). Dal punto di vista musicale è assai semplice, basandosi su soli 3 accordi di chitarra in maggiore (Re, Sol e La) con un passaggio di Re4 tra una strofa e l’altra. Alla portata, quindi, di ogni chitarrista dilettante, purché abbia buoni polpastrelli.

Si tratta di una vera e propria ballata, senza ritornello, dieci strofe di 12 versi ciascuna. A loro volta, i dodici versi sono divisi in tre quartine con la struttura di rime ABCB. Il dodicesimo e ultimo verso di ogni strofa contiene le parole del titolo “Desolation Row” (che, quindi, rima tre volte con go, e una ciascuna con show, raimbow, ago, blow, know, flow, no): un effetto di richiamo continuo del titolo presente anche in altre canzoni dylaniane, come It’s all over now baby blue, Walls of Red Wing Black Diamond Bay.

Come si vedrà dalle prossime puntate, che saranno dieci come le strofe della ballata e appariranno sul blog nei prossimi giorni, Desolation Row è leggibile a più livelli e suscettibile di una miriade di interpretazioni. Non è escluso che si tratti (come la più famosa Mr Tambourine Man) di un delirio lisergico. O, come diceva Woody Allen a proposito del poeta irlandese Sean O’Shawn, per capire l’opera dell’autore ci vuole una conoscenza molto profonda della sua vita, quale, secondo gli studiosi, neppure egli ha avuto mai.

Incoraggiato dall’esempio di grandissimi come Alessandro Portelli – che ha dedicato un intero libro alla post-apocalittica A Hard Rain’s a Gonna Fall, mi cimenterò in una mia traduzione e interpretazione puntuale. Va precisato che Desolation Row ha avuto almeno tre traduzioni italiane – tutte studiate per essere cantate, quindi in rima e ritmo – alle quali farò spesso allusione e ricorso. La prima è quella di Fabrizio De André con la collaborazione di Francesco De Gregori (la chiameremo in sigla DADG), fatta nel 1974 per l’album Canzoni col titolo Via della Povertà. La seconda è quella di Tito Schipa Jr (da qui in avanti TSJ), intitolata Calle Desolazione, realizzata nel 1990 per il libro in tre volumi Bob Dylan Mr Tambourine. Tutte le canzoni e le poesie, edito da Arcana. La terza è quella di Francesco De Gregori (in realtà una rivisitazione di quella con De André, perciò la chiameremo RDG, Riveduta De Gregori), intitolata ancora Via della Povertà e inclusa nell’album Amore e furto – De Gregori canta Bob Dylan (2015).

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Posted by on domenica, Febbraio 11, 2018 in Midrash, Politica |

Commentario alla Desolazione (decima e ultima strofa)

E qui si conclude l’avventura, la pazza idea di Giorgio Guelmani di commentare, strofa per strofa, la leggendaria ed enigmatica Desolation Row di Bob Dylan. Ricordo i post precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio 2017), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo), la terza strofa (27 aprile), la quarta strofa (27 maggio), la quinta strofa (1 luglio), la sesta strofa (23 settembre), la settima strofa (14 ottobre), l’ottava strofa (18 novembre), la nona strofa (7 gennaio 2018). E avanti, verso nuove sfide!

1   Yes, I received your letter yesterday
(about the time the door knob broke)
When you asked how I was doing
Was that some kind of joke?
5   All the people that you mention
Yes, I know them, they’re quite lame
I had to rearrange their faces
And give them all another name
Right now, I can’t read too good
10  Don’t send me no more letters no
Not unless you mail them
From Desolation Row

Dopo l’assolo di armonica, si va verso la fine della lunga ballata. Generalmente canzoni così terminano con l’autore che riprende in mano il filo della trama, intervenendo in prima persona e proponendo una prima interpretazione alla sequela di immagini visionarie che ci ha ammannito. Faccio un solo esempio: Cercando un altro Egitto di Francesco De Gregori. Canzone del 1974 in cui i calchi di Desolation Row sono evidenti e sicuramente voluti. Abbiamo l’uomo all’angolo, vestito da poeta, che vende fotografie virate seppia; abbiamo il Terzo Reparto Celere che controlla, l’ufficiale uncinato e i bambini che sono tutti a volare (allusione alla canzone Auschwitz di Guccini). Ebbene, la strofa conclusiva recita Un amico d’infanzia, dopo questa canzone / mi ha detto “è bellissima, è un incubo riuscito” / ma dimmi, sogni spesso le cose che hai scritto / oppure le hai inventate solo per scandalizzarmi? Ci dobbiamo attendere, quindi, che non solo Dylan, nell’ultima strofa, ricapitoli il senso di ciò che ha visto e scritto, ma anche che abbozzi un dialogo con un invisibile You, che rappresenta il pubblico degli interlocutori più vicini. E il menestrello di Duluth non ci delude. Partiamo con la traduzione.

1-4. Sì, ho ricevuto ieri la tua lettera, più o meno quando si è rotta la maniglia della porta. Quando mi hai chiesto come stavo cos’era, una specie di scherzo?  A che lettera si riferisce Dylan? Tre sono le interpretazioni correnti tra gli esegeti. La prima è che faccia allusione alla Open Letter to Bob Dylan, pubblicata nel novembre 1964 sulla rivista trimestrale di musica folk Sing Out! Autore della Lettera Aperta era Irwin Silber (1925-2010), cofondatore e a lungo direttore della rivista. Nel link sotto il testo integrale in originale della lettera.

http://www.edlis.org/twice/threads/open_letter_to_bob_dylan.html

Silber, in sostanza, reagendo a caldo all’album di Dylan, Another Side of Bob Dylan (uscito nell’agosto 1964), e alla sua esibizione annuale a Newport (non quella della svolta elettrica e del diverbio con Pete Seeger) scriveva con amarezza (e un po’ di paternalismo) al giovane folksinger “Si direbbe che tu sia interessato a tutt’altre cose in questo momento, Bob – il che mi preoccupa. A Newport mi sono accorto che hai sostanzialmente perso di vista la gente. Ho avuto la sensazione che il corredo della fama abbia iniziato a esserti di intralcio (…) le tue nuove canzoni in questo momento sembrano tutte rivolte al tuo intimo (…) la Macchina Americana del Successo fagocita geni alla velocità di uno al giorno e tuttavia non è mai sazia …”. Quattro anni dopo, Silber riconobbe la futilità di un simile appello pubblico e fece autocritica “alcuni di noi, cresciuti a forza di canzoni di Guthrie e Seeger (…) non erano pronti ad accettare le implicazioni rivoluzionarie delle affermazioni di Dylan (…) Dylan è il nostro poeta, non il nostro leader”. Ma ormai la frittata era fatta: anche se Dylan – di tanto in tanto – avrebbe in futuro prodotto qualche canzone “militante” (pensiamo a Hurricane, George Jackson, o a pezzi meno conosciuti come Julius and Ethel), non sarebbbe mai più stato un “intellettuale organico” (per dirla all’europea), a un Movement che stava, comunque, per disperdersi in mille rivoli. Quindi, se la prima interpretazione è vera, la “lettera” è la Open Letter di Silber, e tutte le affermazioni un po’ piccate che seguono sono rivolte a lui, e per estensione al mondo del Folk Music Revival e della sinistra. Seconda interpretazione: Dylan se la prende – come accade anche in altre sue canzoni – con una delle donne con cui ha rotto, o sta per rompere, e qui le candidate sono le solite due, Suzie Rotolo e Joan Baez. Terza interpretazione (radicalmente opposta alla prima): Dylan si rivolge a un ipotetico interlocutore square, cioè a un benpensante, un thin man alla Mr Jones (vedi la canzone Ballad of a Thin Man, nello stesso album di Desolation Row), magari scandalizzato dalla vagonata di immagini acide e di personaggi al limite fin qui sciorinati. Sia come sia, Dylan non riconosce all’interlocutore (Silber, Rotolo o Mr Jones) il diritto di chiedergli “come stai?”. Ulteriore nota ironica: l’allusione alla “maniglia della porta”. La preposizione about ha un doppio significato in inglese. Ho scelto di tradurre più o meno quando si è rotta la maniglia, come dire “le disgrazie non vengono mai sole” (già ci avevo dei problemi, e ora vieni anche a sfruculiarmi con la tua lettera). Ma about significa anche circa, a proposito di, quindi potrebbe intendere la tua lettera, che mi parla di quando si è rotta la maniglia. Come dire: “mi scrivi solo per parlarmi di queste cavolate di cui non può fregarmi di meno?”. Da notare che, al contrario della più letterale TSJ – che ho sostanzialmente seguito – le altre due traduzioni si sbilanciano a dare un sesso al mittente della lettera: per la DADG (ma non essere ridicola) è una donna, mentre per la RDG (ma per favore non essere ridicolo) è un uomo.

NOTA: La traduzione dei brani della Lettera e delle dichiarazioni di Silber è di Seba Pezzani ed è tratta dal libro di Mike Marqusee Wicked Messenger. Bob Dylan e gli anni sessanta, Il Saggiatore, 2010, del quale consiglio vivamente la lettura.

5-8. Tutte queste persone che nomini, sì, le conosco, sono piuttosto noiose. Ho dovuto rimettere a posto le loro facce e dargli degli altri nomi.  L’aggettivo originale lame significa letteralmente zoppo o debole. Nel linguaggio politico USA, lame duck (anatra zoppa) è il Presidente negli ultimi mesi del suo secondo mandato, dopo il quale non può essere rieletto. Ma nel linguaggio popolare significa anche noioso o addirittura conformista. Poiché la lettera di Silber non nomina persone viventi, ma solo due miti defunti (Woody Guthrie e James Dean, che neanche il Dylan più iconoclasta avrebbe mai osato definire lame), possiamo supporre che la lettera fosse di una ex (che parla di comuni amici o conoscenti) o del conformista Mr Jones (che magari si richiama a qualche Autorità o Padre Fondatore). In ogni caso, Dylan sente il bisogno di dare nuovi nomi e facce alle persone di cui parla il suo interlocutore, quindi tutti i personaggi nominati nelle strofe precedenti (da Cenerentola alle sirene) non sarebbero altro che trasfigurazioni di persone conosciute. Come scrive un commentatore, “come Fellini in 8 e 1/2, Dylan ha popolato la canzone di doppelgaenger”, di alter ego di persone della sua vita, esagerate grottescamente. Diversa l’interpretazione delle due cover italiane: De André canta questa gente di cui mi vai parlando / è gente come tutti noi / non mi sembra che siano mostri / non mi sembra che siano eroi; De Gregori questa gente di cui mi vai parlando / non ha carattere non ha fisionomia / ho dato a tutti quanti un’altra faccia / e ho usato nomi di fantasia. A quanto pare, i conoscenti di Dylan hanno solo da guadagnarci a essere trasformati in freaks.

9-12. Ora come ora, non riesco a leggere molto bene. Non mandarmi più lettere, no. A meno che tu non me le spedisca dal Vicolo della Desolazione. Brutale congedo: adducendo come scusa difficoltà di lettura (stanchezza?) Dylan invita esplicitamente il suo interlocutore a non disturbarlo più. A meno che (c’è sempre un a meno che) tu non mi scriva dal Vicolo della Desolazione, cioè a meno che tu non raggiunga una consapevolezza superiore, a meno che tu non faccia in prima persona l’esperienza dell’emarginazione: solo allora mi degnerò di ascoltarti. Il senso si inverte completamente nella DADG: non mandarmi ancora tue notizie / nessuno ti risponderà / se insisti a spedirmi le tue lettere / da via della Povertà. Fortunatamente, l’ultima revisione di De Gregori rimette le cose a posto: d’ora in avanti ti prego non insistere (…) sempre che non mi mandi le tue lettere / da via della Povertà. Un insegnamento conclusivo che potremmo trarne: non è importante solo cosa dici, ma anche da dove lo dici. Un messaggio in astratto “giusto” e “corretto”, ma pronunciato dall’alto, da una situazione di privilegio o di estraneità, risulta meno efficace e incisivo di un messaggio rozzo e sbagliato, ma che viene da dove le cose succedono, da dove le persone in carne e ossa lottano e soffrono. Qui Dylan, di certo inconsapevolmente, riecheggia il frammento di Bonhoeffer (probabilmente del 1942) sullo “sguardo dal basso”. “Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti”. Per dirla con Robert Allen Zimmermann in arte Dylan, solo se scritte dal Vicolo della Desolazione le nostre epistole troveranno ascolto e acquisiranno rilevanza.

That’s all, folks!

 

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