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Posted by on sabato, Novembre 18, 2023 in New York |

Incontri in lavanderia

Una cosa che si nota subito a New York City è quanto pochi appartamenti dispongono di una lavatrice privata. Molti condomini, anche di fascia alta, hanno la lavatrice comune situata di solito nel seminterrato: chi ha visto Rosemary’s Baby ricorderà come persino il lussuoso Dakota Building (poi divenuto tristemente famoso per l’assassinio di John Lennon) aveva la lavatrice condominiale.

Per gli altri, ci sono le lavanderie a gettone. Emblematica quella che compare in Friends (prima stagione, episodio 5) in cui Ross e Rachel incontrano una horrible woman che cerca di piazzare i propri vestiti da lavare nella lavatrice già prenotata da Rachel. Un episodio simile, ma più assurdo, è accaduto pochi giorni fa a mia figlia Arianna, nella laundromat vicino a dove abita, a Hamilton Heights (Harlem).

Come tutti sanno, il processo si svolge in più fasi. Prima si riempie una lavatrice con le proprie cose e si imposta il lavaggio, poi si imposta l’asciugatura (necessaria, perché a New York ci sono pochi balconi ed è quasi ovunque vietato stendere i panni fuori). Durante i due processi (almeno mezz’ora ciascuno) c’è un tempo morto che si può impiegare per sbrigare altre faccende: ben pochi lo passano a contemplare i panni che girano, cosa solo un filino più divertente del leggere riviste mediche nella sala d’attesa di un dentista.

In questa occasione Arianna, trattenuta in casa da un piccolo contrattempo, è arrivata in lavanderia con cinque minuti di ritardo, e ha scoperto che la sua biancheria era stata sparpagliata un po’ ovunque. Un vecchietto con evidenti segni di demenza e due coetanee più lucide avevano ammucchiato le cose di Arianna mischiandole con le proprie in un coacervo inestricabile. Arrabbiata, Arianna ha cominciato a smistare gli articoli di proria pertinenza. Il vecchietto protestava che le cose erano sue, persino quelle di misura piccola o quelle più evidentemente femminili come mutandine nere di pizzo o reggiseni: si è arreso solo quando Arianno ha tirato fuori una T-shirt  con la propria faccia (che si era fatta fare da quei negozi che fanno le magliette personalizzate). Le due vecchiette tenevano bordone al coetaneo, dandogli ragione anche contro il buonsenso.

Dopo dieci minuti di urla, Arianna è riuscita a recuperare tutto il suo (o almeno così spera: non è escluso che, nella confusione, una mutandina sia rimasta nelle grinfie della gang di anziani terribili) e a tornare a casa stressatissima.

Da parte mia, sono fiera di avere allevato (anche con l’aiuto delle arti marziali) una figlia assertiva, capace di farsi valere anche nella giungla d’asfalto e nel sordido mondo delle lavanderie a gettone.

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Posted by on sabato, Settembre 9, 2023 in New York |

Il pignone e il moscone

Per chi ama la New York anniveristica, con sempre nuovi grattacieli, osservatori a cento metri d’altezza, centri commerciali, uffici e appartamenti di lusso, l’ultima attrazione è Hudson Yards, gigantesca piazza costruita tra il 2016 e il 2019 all’incrocio tra la Trentaquattresima Strada Ovest e l’Undicesima Avenue. Nonostante l’inevitabile pacchianeria, è più bella (posso bestemmiare?) della milanese piazza Gae Aulenti, tanto amata da una delle mie cognate. Fa parte del pacchetto anche quella specie di gigantesca pigna (voleva essere un alveare secondo il progettista, anche se qualcuno trova che somigli a un kebab), denominata (provvisoriamente in attesa di meglio) The Vessel.

Alta 46 metri, la struttura raggiunge un’altezza di 16 piani e comprende 154 rampe di scale, quasi 2 500 gradini e 80 terrazze panoramiche per visitatori. Per il resto non serve assolutamente a nulla, è solo bella da guardare. Peccato che tra il 2020 e il 2021 sia stata teatro di almeno quattro suicidi: dopo l’ultimo, l’accesso ai piani superiori è stato definitivamente chiuso.

Durante la nostra visita a Hudson Yards mi è capitata un’antipatica disavventura: sono stata punta da una qualche mosca locale e sono stata costretta all’uso di una pomata antibiotica per sgonfiare la ferita, per fortuna senza altre conseguenze. Già in Italia sono volentieri bersagliata da zanzare, mosconi e pappataci vari, ma gli insetti statunitensi hanno evidentemente una marcia in più, in termini di pervicacia e cattiveria. Ecco cosa capita ad avere un sangue troppo dolce!

 

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Posted by on sabato, Settembre 2, 2023 in New York |

Quattro anni e mezzo dopo

Mancavo da New York, la città dove vive nostra figlia, dalla Pasqua del 2019. Nel frattempo, ci sono state una pandemia mondiale, guerre tuttora in corso,  il ritorno dell’inflazione e il trasferimento di Arianna da Sunnyside (Queens) a Hamilton Heights (Manhattan). Hamilton Heights fa parte di quella grande fetta di isola chiamata Harlem, in breve tutto ciò che sta al di sopra di Central Park ma non è ancora Bronx. E anche se di nome è Manhattan, è quanto mai lontano (in termini di tempo-metropolitana, ma anche di atmosfera e stile di vita) dalla Manhattan più nota ai turisti, quella di Times Square, dell’Empire State Building, di Wall Street. Anche lì passa Broadway (che come un serpentone si snoda da sud a nord lungo tutta l’isola) ma non ha niente a che vedere con i teatri: è più un enorme Viale Monza costellato di supermercati, chiese pentecostali, farmacie e negozi di articoli collaterali alla cannabis (nel frattempo legalizzata). Il quartiere di Hamilton Heights, a prevalenza afroamericana e latina, presenta da un lato zone residenziali con esclusive ville in arenaria (Convent Avenue) dall’altra vie con case popolari e gente che se ne sta tranquillamente a chiaccherare sui gradini, o improvvisa feste di marciapiede. Un po’ Napoli, un po’ via Padova, senza la frenesia di Midtown.

Poiché era l’undicesima volta che venivamo a New York, le cose più gettonate da ogni guida turistica le avevamo già viste. Ci siamo quindi avventurati nella scoperta del quartiere e più in generale del nord Manhattan, meno conosciuto ma con cose che meritano la deviazione, come direbbe la Michelin.

Ci sentiamo quindi di consigliarvi: 1) Hamilton Grange (vedi foto) la dimora di Alexander Hamilton, l’uomo che sta sulla banconota da 10 dollari e a cui hanno dedicato un costosissimo musical, immersa nel verde e visitabile gratuitamente; 2) la Dyckman Farmhouse, l’ultima fattoria olandese rimasta in città (visita 3 dollari) ; 3) la Morris-Jumel Mansion, la residenza più antica di Manhattan, costruita nel 1765. Naturalmente ci ha risieduto anche Washington (come Garibaldi in Italia e Napoleone in Francia, ha dormito praticamente ovunque). Intreccio interessante: l’erede dei proprietari sposò in seconde nozze Aaron Burr (ex vicepresidente, l’uomo che aveva ucciso Hamilton in duello), poi chiese il divorzio e scelse come avvocato il figlio dello stesso Hamilton.  La visita costa 10 dollari a cranio (comunque poco per la città) ma se avete la fortuna di venire una domenica pomeriggio d’estate è gratis e c’è anche il concerto jazz in giardino.

Tutte queste tre mete turistiche sono state dotate di apparato iconografico che cerca di ricostruire le vite degli “invisibili” di allora (schiavi e nativi in primis).

Un’altra meta di rilassanti passeggiate è il City College, università pubblica a prezzi meno assurdi della vicina Columbia.

Per scatenare la vostra invidia, aggiungerò solo che – dal 12 al 24 agosto – abbiamo goduto di temperatura estiva ma mite e senza afa (23-25 gradi) mentre l’Italia soffriva i morsi della canicola.

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Posted by on venerdì, Dicembre 9, 2022 in New York |

La pasta al muro

In Italia tendiamo a considerare gli altri popoli dei barbari specialmente per due motivi: 1) non hanno il bidet; 2) non sanno preparare la pastasciutta. Sono luoghi comuni, ma spesso si rifanno a esperienze vissute.

La settimana scorsa, ad esempio, Arianna è stata invitata a cena a casa di un’amica statunitense e il piatto forte erano gli spaghetti. Come verificare il giusto grado di cottura? Con la massima tranquillità l’amica ha estratto uno spaghetto dall’acqua bollente e l’ha lanciato contro il muro. Poiché lo spaghetto ha rimbalzato, la conclusione era chiara: la pasta era ancora troppo al dente.

Abbiamo poi scoperto che tale metodo di controllo era stato effettivamente adottato in una puntata della seconda stagione del telefilm Thirteen Reasons Why (distribuito in Italia da Netflix col titolo Tredici). Si vedono un ragazzo e una ragazza a cena insieme (probabilmente a casa di lei), e lei che ridendo getta la pasta (qui si tratta di un maccherone) contro il muro. Nell’imminenza dell’uscita della terza stagione, in un video l’attore Dylan Minnette ha chiesto esplicitamente scusa al pubblico italiano.

Sarebbe proprio il caso di dire, come si fa nei paesi anglosassoni, Don’t try this at home. L’idea di vedere cucine come campi di battaglia, costellate di fusilli scotti gettati sul pavimento, o di pennette cotte appiccicate al muro (o addirittura al frigorifero) inquieta non poco.  Resta da chiedersi se è l’amica di Arianna ad avere imparato la tecnica della pasta al muro da Thirteen reasons why, o se è lo sceneggiatore ad avere riportato un uso già esistente.

Il solito annoso dilemma: è l’arte che imita la vita o la vita che imita l’arte?

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Posted by on sabato, Maggio 28, 2022 in New York |

ESD

Quando mia figlia (che come tutti sanno vive a New York da sette anni) mi ha detto che conosceva molte persone che facevano ricorso all’ESD, ammetto di essermi preoccupata e non poco. La sigla ricorda da vicino quella di un noto stupefacente. Ma ESD significa Emotional Support Dog, cioè Cane di Supporto Emotivo. Il cane è solo il caso più frequente: dal 1990 il meritorio Americans with Disabilities Act (sigla ADA), che vieta ogni discriminazione contro la disabilità, consente l’uso di animali di supporto per qualunque disabilità, fisica o psichica. In pratica, la figura ben nota a tutti del cane-guida per i non vedenti viene generalizzata. In particolare, si definisce Emotional Support Animal (ESA, scusate per l’abbondanza di sigle), qualsiasi animale che fornisce sollievo a individui con disabilità psichiatrica attraverso la compagnia. Da anni cani e gatti (ma ci sono casi anche di tartarughe, maiali, caprette) possono viaggiare in cabina accanto al proprietario, previa certificazione medica per patologie quali stati d’ansia, attacchi di panico, sindrome di Asperger eccetera. E ci sono anche animali di supporto collettivo: in una sessantina di aeroporti statunitensi sono operativi i cani antistress per confortare i viaggiatori (a mio marito avrebbe fatto bene, se non fosse che ha paura dei cani come e più del volo). A Denver ci sono cento cagnolini di quaranta razze diverse addetti alla bisogna, riconoscibile per la pettorina blu con la scritta PET ME. A San Francisco c’è persino un maiale antistress, Lilou, cinque anni, che intrattiene grandi e piccini suonando un pianoforte giocattolo.  In Italia – dove la figura dell’animale di supporto emotivo non è riconosciuta – ci sono cani antistress in aeroporti come Genova, Linate o Malpensa.

Arianna ha spesso contatti con persone, soprattutto donne, che nella maggioranza rispondono al requisito della Desperate Housewife o della Karen (ricca bianca annoiata e prepotente) – che si portano dietro il canide anche dove dovrebbe essere vietato. Alle rimostranze rispondono invocando lo status di ESD, al quale è concesso accompagnare l’umano in qualunque luogo (compresi i luoghi, pubblici e privati, che impongono restrizioni all’ingresso di animali). Poiché anche negli USA fatta la legge trovato l’inganno, non mancano i casi di abusi e controversie. Troppo spesso le certificazioni ESA sono scaricati da siti Internet fraudolenti, o privi di attendibilità scientifica. Il caso diventa spinoso (e quindi ghiotto nutrimento per avvocati) se l’animaletto morsica, molesta o sbava su un terzo (magari un assistente di volo).

Del resto, in un paese dove è facilissimo procurarsi armi da guerra per uso personale, non staremo certo a scandalizzarci se è altrettanto facile ottenere il permesso per tenere e portarsi ovunque un cane, un criceto o un procione per supporto emotivo.

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Posted by on sabato, Maggio 14, 2022 in New York |

L’incendiaria

Ieri mia figlia Arianna (che vive a New York) è andata al cinema con un’amica a vedere un film appena uscito, Firestarter. Tratto dal libro L’incendiaria del grande Stephen King (1980) è la storia di una ragazzina, Charlie, che (a causa di esperimenti condotti sui suoi genitori prima del concepimento) nasce con poteri pirocinetici (creare il fuoco e manipolarlo con la mente). Compiuti li undici anni, Charlie non riesce più a controllare i propri poteri e, con la sua famiglia, è presa di mira dalla stessa organizzazione para-governativa responsabile degli esperimenti. Non è il mio genere, ma è una bella storia, di tipo fanta-horror-thriller,  da cui un bravo artigiano della macchina da presa potrebbe facilmente ricavare un’opera piena di adrenalina e angoscia, in grado di tenere gli spettatori incollati alla sedia. Fu così infatti per la prima trasposizione filmica del romanzo, Fenomeni paranormali incontrollabili (definizione che darei volentieri a ciò che accade diuturnamente nella mia scuola) interpretato nel 1984 da una Drew Barrymore di appena nove anni.

Insomma, per mia figlia c’erano le premesse di una bella serata, tanto più che nel cast del nuovo film c’era anche Zac Efron, l’indimenticato belloccio di High School Musical. Invece, a quanto mi ha raccontato Arianna, il film faceva pena. Se volessi essere cattiva, direi che sembrava quasi un prodotto italiano. Sul noto sito Rotten Tomatoes il film ottiene una valutazione di gradimento della critica del 13%. Una delle recensioni più benevole parla di recitazione legnosa, trama faticosa, imbarazzanti cambiamenti rispetto all’originale. Nella sala risuonavano fin troppo spesso omeriche risate (ottimo per una commedia, ma pessimo per un film horror) e in una scena (che Arianna ha immortalato col suo IPhone) Zac Efron in maglietta bianca e barba nera ricordava pericolosamente Leonida in 300 (a proposito di greci) , spegnendo pericolosamente (a proposito di fuochi) la libido del pubblico femminile.  A un certo punto, l’amica di Arianna rise tanto sgangheratamente (ma non era l’unica) da essere rimproverata aspramente da una signora della fila dietro.

Al termine del film, Arianna e la sua amica hanno indugiato al proprio posto, sperando che – dopo 110 minuti – almeno nei titoli di coda succedesse qualcosa di appassionante (spoiler: non succede). Deluse anche in questo caso, si sono avviate all’uscita mentre la sala si era quasi svuotata. Tra le poche rimaste sedute, c’erano tre donne, tra cui una era quella che aveva zittito l’amica di Arianna, rea di incontrollato scoppio di risa. La signora in questione, toltasi la mascherina, le ha apostrofate con frasi tipo E allora, vi siete divertite?, cercando evidentemente la rissa.

Arianna e la sua amica non hanno abboccato all’amo e sono uscite dal cinema senza incidenti, ma Arianna – così mi ha raccontato – è rimasta perplessa. La faccia della signora nel cinema le ricordava qualcuno, ma chi? Poi ha controllato in Rete e ha scoperto che la signora così arrabbiata era nientepopodimeno che Gloria Reuben, attrice canadese che nel film interpreta Cap Hollister, una dei Cattivi.  Evidentemente, l’attrice era in tour per il continente a verificare l’impatto sul pubblico della sua interpretazione (tra l’altro una delle meno apprezzate).

Che dire? Certe cose succedono solo a New York!

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