Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Posted by on sabato, Giugno 19, 2021 in Scuola e dintorni |

Invalsi, voce del verbo invalidare

INVALSI: sigla orribile che starebbe per Istituto Nazionale per la VALutazione della Scuola Italiana o roba simile. In realtà, l’ho sempre considerato un passato remoto: come “avvalsi” viene da “avvalere”, così “invalsi” dovrebbe derivare da “invalere” o “invalidare”: nomen omen.

Ho vissuto anni eroici in cui si dovevano passare ore e ore a scuola a correggere manualmente i test a crocette svolti dagli sventurati studenti. Oltretutto dovevamo tirare a indovinare, perché la griglia con le risposte giuste non ci veniva messa a disposizione. Da lì ho capito che le prove, oltre ad essere una faticaccia improba, erano una trappola: più che valutare gli studenti, servivano a cogliere in fallo gli insegnanti.

Stranamente, all’inizio degli anni Dieci le prove INVALSI sembravano avere un perverso legame con le slitte. Per due anni di seguito, infatti, il testo d’italiano da “comprendere” (con una batteria di domande che vanno dal banale alla critica letteraria profonda) erano a tema invernale. Prima Sulle nevi di gennaio di Mario Rigoni Stern, poi Uno scherzetto di Anton Pavlovic Cechov. Due racconti diversissimi, ma accomunati dalla descrizione di un flirt tra un giovane uomo e una giovane donna in mezzo a neve, ghiaccio e slitte. Proprio quel che ci vuole per me, che sono freddolosa e adoro il mare (negli anni successivi la coincidenza non si è ripetuta: forse il compilatore amante della montagna è andato in pensione?).

INVALSI, come pure competenze, autonomia scolastica, Alternanza Scuola Lavoro (ora PCTO), aziendalizzazione della scuola e altre piacevolezze, sono state un regalo di una certa sinistra che negli ultimi vent’anni si è adoperata, mano nella mano con la destra (al di là delle contrapposizioni di facciata) a rovinare la scuola pubblica italiana.

Complice anche l’esperienza pandemica, qualcuno ha cominciato a dire che il troppo è troppo. Ho firmato convintamente il Manifesto per la nuova scuola pubblicato sul sito di Micromega e promosso da intellettuali come Tomaso Montanari, Alessandro Barbero, Luciano Canfora, altre e altri. Finalmente trovo qualcuno che dice ciò che ho sempre pensato. Tipo che:

  • La scuola si occupa delle persone in crescita, non di entità astratte scomponibili e riducibili a una serie di “competenze”
  • L’idea che la scuola possa essere incentrata sulla semplice acquisizione di “competenze” è profondamente sbagliata, sia perché applica a un ambito, quello scolastico, categorie nate in tutt’altro ambito, quello cioè dell’azienda e della produttività lavorativa, sia perché esclude appunto la dimensione integralmente umana, centrale nella scuola e nei processi lunghi e non lineari dell’apprendimento e della crescita
  • Poiché la scuola pubblica ha come finalità l’istruzione e la formazione umana e culturale delle persone in crescita, i decisori politici, prima di ipotizzare qualunque “riforma”, dovrebbero interloquire con gli esperti della trasmissione culturale e quelli dell’età evolutiva – insegnanti, psicoanalisti, intellettuali, educatori – e non con i rappresentanti di associazioni private
  • occorre eliminare ciò che non è apprendimento e insegnamento:– via  gli inutili percorsi di “alternanza scuola-lavoro” (ora PCTO), da sostituire semmai con stage sensati e non obbligatori, se e quando ne valga la pena, fuori dall’orario scolastico e su decisione dei consigli di classe;

    – via i test INVALSI, che sottraggono settimane di tempo all’attività scolastica senza che se ne siano mai chiariti il senso, la funzione e l’utilità;

    – via i progetti non indispensabili

    – via insomma tutte le attività burocratiche inutili che sottraggono tempo, attenzione ed energie agli insegnanti, che devono dedicarsi esclusivamente all’insegnamento.

  • diminuire nettamente il numero di studenti per classe, in modo che gli insegnanti possano davvero dedicare tempo e attenzione alle esigenze di ogni studente, operazione oggi più fattibile grazie ai previsti finanziamenti europei.

Il problema è: si troverà qualcuno disponibile a tradurre politicamente queste belle parole d’ordine?

Nel frattempo potete leggere qui il manifesto: https://www.micromega.net/manifesto-per-la-nuova-scuola/

e, se vi va, firmare qui: http://chng.it/pLRQ47qfX9

Read More

Posted by on sabato, Febbraio 20, 2021 in Scuola e dintorni |

Bianchi a rotelle

Ogni nuovo Ministro dell’Istruzione, nel nostro Belpaese, sogna di lasciare il segno sulla scuola italiana con riforme epocali, e prima o poi fa rimpiangere il precedente (ridateci la Falcucci!). Il neo-ministro Patrizio Bianchi per ora ripropone – oltre al generico aziendalismo che va bene su tutto, come il prezzemolo – alcune idee già presentate dalla ministra precedente e dalla Task Force di cui era egli stesso a capo prima della crisi di governo. Idee respinte con derisione generale quando le proponeva la povera Azzolina, ma ora nobilitate dal tocco di Mida di Draghi in piena luna di miele con il Paese (e soprattutto con i media).

Torna alla ribalta così l’idea di prolungare le lezioni, per ogni ordine e grado, sino al 30 giugno, nell’afflato un po’ proustiano di recuperare il tempo perduto.

Tempo perduto??? Ma qui, con rispetto parlando, ci si sente prese per i fondelli. Ma come, tutta questa enfasi sul digitale, sull’e-learning, sul luminoso futuro della didattica a distanza? Tutta la fatica di reinventare e reinventarsi, di imparare nuove modalità di interazione, di installare microfoni, videocamere, programmi e piattaforme? La lotta quotidiana con le connessioni deboli, con le furberie di studenti e genitori, lo psicodramma delle interrogazioni, l’assegnazione e la correzione dei compiti a distanza? E l’impossibilità – per noi e per i ragazzi – di programmare qualsiasi attività extrascolastica, con gli orari e i turni che cambiano ogni settimana, le lezioni che iniziano troppo presto e finiscono troppo tardi? Niente, abbiamo scherzato, tutto tempo perso, come se fossimo state tutte a rosolarci al sole su una spiaggia caraibica. Ci voleva proprio il Governo dei Migliori, per tirare fuori idee degne del peggiore qualunquismo (tanto si sa che gli insegnanti sono fannulloni, che fanno tre mesi di ferie all’anno, che in DAD non si fa nulla)!

Ma c’è di più: l’ipotesi di prolungare le lezioni sino al 30 giugno -quando docenti e discenti boccheggeranno dal caldo – si accoppia alla determinazione di tenere l’Esame di Stato (vulgo Maturità) a partire dal 16 giugno, sia pure con le modalità dell’anno scorso (solo orale in presenza). Quindi, alle superiori, tra il 16 e il 30 i docenti – o almeno una buona parte di loro – dovrebbero essere contemporaneamente a fare lezione (in presenza o in DAD) e a fare i Commissari e i Presidenti di commissione. Può darsi che un Governo che coniuga grande competenza scientifica e salda ispirazione cattolica riesca a fare il miracolo. Ispirandosi a san Giuseppe da Cupertino, si potrebbe fornire ai docenti il Dono dell’Ubiquità, oppure chiedere a Elon Musk a che punto è la clonazione umana. Forse pensano di allungare l’orario sino alla sera, in modo da tenere i colloqui d’esame all’ora dell’aperitivo (così si ristora un settore in grande sofferenza). Oppure di ricorrere a precari usa e getta per le ultime due settimane di lezione (alla faccia della continuità didattica). O di mettere i suddetti precari a fare i presidenti (la normativa vigente non lo prevede).

Magari potrebbero ricorrere all’Esercito, alla Protezione Civile, al Privato Sociale tanto caro agli amanti della sussidiarietà. E perché non ai percettori del Reddito di Cittadinanza?

Se il buongiorno si vede dal mattino, mi sa che rimpiangeremo i banchi a rotelle.

Read More

Posted by on sabato, Ottobre 31, 2020 in Scuola e dintorni |

La cocozza e il cucuzzaro

Arriva Halloween, ricorrenza ostracizzata da molti fondamentalisti di tutte le risme, e da sempre associata all’immagine di un particolare frutto, la zucca. Anche se – parentesi – la mia generazione, grazie al traduttore dei Peanuts, ha creduto per decenni che Halloween fosse la festa del Grande Cocomero.

Zucca, nel Centro-Sud, si dice cocozza (con le varianti cocuzza e cucuzza);  e così, per una volta, sono in grado di proporvi un detto conosciuto al di là della campagna ternana.

Esiste, infatti, in molte regioni, il gioco del cucuzzaro (varianti: cocozzaro e cocuzzaro). Un semplice quanto antico gioco da bambini: uno di loro viene designato come capogioco e chiamato cucuzzaro. Il suo compito è assegnare agli altri partecipanti (le cocozze) un numero, e metterli in cerchio.

Poi si comincia: il cocozzaro pronuncia la frase Sono andato nell’orto e ho raccolto xxx cocozze (xxx = numero compreso tra 1 e il numero dei bambini in cerchio).

Il partecipante designato (es. il numero due) risponde E perché due cocozze? Il cocozzaro ribatte e allora quante? 

Il numero due replica chiamando in causa un altro giocatore (esempio dice Tre cocozze), o addirittura ributtando la palla al cucuzzaro stesso (Tutto il cucuzzaro). Chi è stato così apostrofato deve rispondere secondo lo stesso schema. Chi non risponde a tono, si impappina, risponde al posto di un altro,  è eliminato, finché, come gli Highlander, ne rimane solo uno. Per i maniaci della grammatica, si noti che cucuzzaro assume la doppia valenza di nome di mestiere (il venditore di cocozze) e di nome collettivo (l’insieme delle cocozze).

Da qui il detto, in cui “tutto il cucuzzaro” significa “e tutti quanti” (tipo: “ho invitato Esuperanzia alla festa, ed è venuta tutta la sua compagnia, così mi sono dovuta sorbire tutto il cucuzzaro”).

Gran bel gioco, di un’epoca in cui per tenere occupati i virgulti non occorrevanno schermi, giga e cavetti, gioco che poteva facilmente degenerare nella violenza cieca o nel nonsense surreale (provate voi a ripete per ore le parole cocozza e cucuzzaro).

Gioco che, tra le altre cose, insegna l’arte di rispondere a tono e soprattutto quella di schivare le responsabiltà e di passare ad altri la patata bollente (Due cocozze? E perché non quattro, cinque, o addirittura tutto il cucuzzaro?).

A vedere certi colleghi, certi dirigenti, certi ministri o altro, viene da pensare che da ragazzi fossero i campioni regionali della specialità.

Read More

Posted by on sabato, Settembre 19, 2020 in Scuola e dintorni, Wurstel |

La brutta parola

Quando Arianna era piccola, tra le sue letture preferite c’era un libro illustrato (di cui ho dimenticato il titolo) che insegnava ai bambini ad affrontare frustrazioni di vario genere (gelato caduto, rimproveri da parte dei genitori, litigi coi coetanei ecc.). Ricordo un’illustrazione in cui una dolce bimba con la lacrimuccia diceva Carlo mi ha detto anche LA BRUTTA PAROLA … lasciando alla fervida immaginazione dei giovani lettori quale mai fosse questa parola così orribile.

Nella vita di tutti i giorni ci sono sempre brutte parole, anche se non sono quelle etichettato come bestemmie o parolacce, parole che danno fastidio a noi o agli altri. Io ho sempre odiato, ad esempio, parole come mangia-e-bevi (un tempo comunissima) o apericena. La famigerata legge 107 (nota anche come Buona Scuola) ha introdotto altre parole tossiche, tra cui una di quelle che odio di più è la parola dipartimento. Questa parola ha sostituito, in certe accezioni, l’usuale parola materia (ad esempio, le riunioni di materia sono diventate riunioni di dipartimento). Vuole scimmiottare l’università, ma fa ridere i polli.  Per questo cerco di evitarla il più possibile. L’anno scorso (prima della pandemia) mi capitò di dire ci vediamo oggi alla riunione di materia e una collega arcigna quanto sempre pronta a piegarsi alle superiori disposizioni mi rimproverò con aria professorale (in senso negativo): “Ma si dice dipartimento!!!”. Forse, se avessi bestemmiato, si sarebbe scandalizzata di meno.

Quando sento la brutta parola. mi viene in mente la gag ricorrente in Frankenstein Junior: ogni volta che qualcuno nomina l’austera e temibile Frau Blucher, subito si sente un nitrito di cavalli imbizzarriti.

Vista la difficile situazione, auspicherei che le riunioni di materia  si trasformassero piuttosto in riunioni di spirito: ce ne sarebbe un gran bisogno.

Read More

Posted by on domenica, Settembre 13, 2020 in Libri, Scuola e dintorni |

Letture per la Fase Tre

Una seguita pagina Facebook, dedicata alla lettura, ieri sera consigliava il libro Cambiare l’acqua al colibrì. Tenuto conto che tra i best-seller del momento ci sono Cambiare l’acqua ai fiori (Valérie Perrin) e Il colibrì (Sandro Veronesi), può darsi che si tratti di uno scherzo, o che qualcuno abbia inaugurato la strategia del best seller ibrido per conquistare più puybblico tramite sinergie di genere e di target.

In ogni caso, per rallegrare il difficile inizio anno scolastico che ci aspetta fin da domani, mi sentirei di raccomandare il seguente BSI (Best Seller Ibrido):

Titolo: Il Gattopardo sul tetto che scotta

Autore: Tennesse Lampedusa

Scheda critica: Drammone sudista e sudaticcio. Narra le trasformazioni avvenute nella Georgia schiavista ai tempi della Guerra di Secessione americana, attraverso lo sguardo cinico e disilluso del patriarca di una ricca famiglia di proprietari terrieri, “Big Daddy” Salina. Tra omosessualità repressa, tradimenti di coppia e politici, torbide passioni, balli sfrenati, incomprensioni familiari e rivolte di schiavi, i Gattopardi del vecchio Sud cederanno il posto alle Iene del Nord industriale, e tutto cambierà affinché nulla cambi.

Dello stesso autore, già acclamato e pluripremiato il drammone longobardo Un tram che si chiama Adelchi. Indimenticabile la scena della morte della protagonista, sulle commoventi parole Giace la pia col tremulo / sguardo aspettando il tram (la canzone divenne un tormentone estivo, e il jingle della pubblicità di un noto vibratore).

Read More

Posted by on domenica, Settembre 6, 2020 in Scuola e dintorni |

Un pomeriggio di ordinaria follia

Ennesima circolare: il Collegio Docenti è convocato dalle 15.30 alle 17.30 in data primo settembre eccetera eccetera. Che poi rimane solo la data: le ore si accavallano e lievitano, lasciando tutti frastornati e storditi. Quando scatta l’ora X tutti devono collegarsi. Fremono le chat di ogni gruppo: “Non mi è arrivato il link, oddio, per favore me lo giri?”, e via tutti quanti a smanettare.

Poi si apre il collegamento, ma alcuni Google Meet non li gradisce e li sbatte fuori. Prova microfono: quando quattro anni fa ho comprato il mio computer desktop col Bonus Docenti, non potevo immaginare che avremmo fatto questa fine. Parlarci attraverso uno schermo, decidere e votare il lavoro di un anno con una scheda impersonale che non ti permette di dire veramente la tua. Provo e riprovo a parlare: niente. Mesi di DAD e aggiornamenti di Windows 10 hanno messo a dura prova la videocamera e l’audio del mio PC.

Posso ascoltare quello che la Preside e gli altri dicono, ma non posso parlare. Meno male che mio marito, finito il proprio lavoro da remoto, con abili manovre riesce a installare Google Meet sul tablet, ma ormai la riunione è finita, sarà per un’altra volta.

Molti interventi sono fuori luogo. C’è chi non ha capito bene come si vota, chi non riesce a inviare il proprio voto. Chi viene continuamente ributtato fuori dal sistema, chi può usare solo la chat perché non vede e non sente gli altri.

La chat, altra spina nel fianco. C’è chi la usa per chiedere come stanno i figli o il cane, chi suggerisce rimedi omeopatici da applicare nelle classi quando torneremo, chi fa errori ortografici (ho visto scrivere colleggio). C’è pure chi insulta o sfotte quei pochi che intervengono: siamo arrivati anche a questo, commenteremo dopo, affrante, nella chat del nostro gruppo di materia.

Le votazioni si susseguono, scheda dopo scheda. Chi proprio non riesce a votare aggiunge il voto in chat (è considerato valido, per ora).  Il tutto è estremamente faticoso. Dalle due ore previste, si arriva a tre ore e quaranta minuti. Ci salutiamo mezzi rimbambiti, fino al prossimo collegamento.

Certo, non si poteva fare altrimenti causa COVID eccetera, ma è chiaro che la partecipazione va a farsi benedire.

Che tristezza.

Read More

Fatal error: Class 'AV\Telemetry\Error_Handler' not found in /membri/.dummy/apps/wordpress/wp-content/plugins/altervista/early.php on line 188