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Posted by on sabato, Settembre 5, 2020 in Scuola e dintorni |

Impressioni di una commissaria interna

Da molti anni la mia collega e amica Barbara Pozzi condivide con un piccolo gruppo di insegnanti le sue impressioni sull’Esame di Stato, in forma di resoconti semiseri. Quest’anno Barbara ha accettato di condividerle anche tramite il Blog, e per questo la ringrazio affettuosamente.

Spieghiamo ai lettori che c’è stato un tempo nel quale all’approssimarsi delle commissioni d’esame scattavano le scommesse: in quale bislacco istituto religioso manderanno la Barbara?  Dal Maria Consolatrice al Reginae Mundi, dalle Marcelline all’Istituto Ebraico, i miei non erano esami ma pellegrinaggi!
Poi mi sono secolarizzata, dal paritario Leopardi (laico ma con molti crocifissi) all’ITIS Marconi di Gorgonzola, fin anche nel cuore dei nostri amici-rivali del Virgilio e all’IPSIA di Cernusco: sempre comunque per coppie abbinate “dalle stelle alle stalle”.

Questi resoconti avevano una loro struttura, quasi un genere letterario con un suo stile: ma quando sono interna come fare?! Inutile che vi descriva l’edificio della scuola, il quartiere, per non parlare del capitolo descrizione bagni.

Ma accetto la sfida letteraria e vi vado a descrivere l’impressione di entrare nell’edificio, dopo questi lunghissimi mesi di lontananza, dall’ultimo cancello in fondo davanti alle aulette (poiché ogni commissione sgattaiolava dentro da una differente entrata e ogni ingresso di sicurezza è stato sfruttato allo scopo).
Non so se avete mai visto dei filmati che simulano cosa succederebbe se gli uomini di colpo sparissero, ecco mi è sembrato di essere in uno di questi filmati! Se volete una metafora più letteraria, pensate al brano della vigna di Renzo nei Promessi Sposi. La vegetazione spontanea erbacea, plebea, si è impunemente impadronita dell’aiuola delle nobili ed altezzose rose ed incontenibile ha invaso il vialetto, di cui ancora vagamente si intuisce il percorso: il quarto stato che abbatte la Bastiglia e sovverte l’ordine imposto! Come alcuni ricordano, quando la collega L. presentava il progetto sull’ambiente e per la cura del giardino, io partecipavo
con entusiasmo nel ruolo della bassa manovalanza, cioè praticamente con le mie classi partecipavo costituendo bande di improvvisati netturbini che setacciavano il giardino, tanto che per diverso tempo molte colleghe quando vedevano il giardino sporco se ne lamentavano con me… “ma non ti vergogni a lasciarlo così, non è ora che lo pulisci!”; ebbene già allora non vi dico cosa trovavamo, sia di inanimato sia di vivo! Ecco, ora ho immaginato sotto un mondo a sé stante, un popolo di insetti
e roditori che costruisce le proprie metropoli utilizzando i nostri rifiuti. Alzando lo sguardo invece è l’avanzata dei rampicanti, un trionfo di edera e vite canadese, a catturare la vista con un effetto liane della giungla reso ancora più veritiero dalle grida dei pappagallini che danno quel tocco di esotico in più.
Ma dentro….oohh oohh!
Come si è dentro tutto è lindo e disinfettato, sanificato come s’usa dire ora, con il personale munito di mascherine, guanti, camice bianco e perennemente armati di spray detergente: un segretissimo centro di quelli che nei film, nascosti in posti inaccessibili nel centro della giungla, covano chissà quali innominabili esperimenti.
Io comunque sono grata all’istituto super sozzo che abbiamo conosciuto per anni, con il pavimento cosparso di terra che ci si poteva seminare, solcato da matasse di peli e capelli, dei banchi “puliti” con lo stesso straccio e la stessa acqua (che durava settimane!) dei pavimenti e dove le macchie in bagno duravano così a lungo da costruire mandala artistici e dove la polvere di gesso uniformava il colore delle cose; ebbene sono grata a questi anni di allenamento a considerare le mani dopo una giornata scolastica come armi chimico-battereologiche quindi a resistere ad ogni tentazione di toccarsi il viso e a costruire l’abitudine istintiva di lavarsele ben bene.

Ma veniamo agli esami.
Inizialmente un po’ di tensione in effetti c’era per l’attenzione ai protocolli e le mascherine che sono un segno visibile ed immediato che marca la non normalità, ma poi l’essere fra noi e la voglia di essere operativi ha fin da subito messo in moto, in modo corretto e ragionevole, la macchina degli esami. Ma occorre fare una premessa sulla mia classe. Questa masnada di sciagurati filibustieri (che io ho da 5 anni, due anche da sei, due anche da sette!) è l’ultima classe di seconda lingua tedesco, la fine di una parabola che in dieci anni ha visto una sezione di eccellenze venir usata come il rifugio dei più disperati casi umani e disumani di tutto l’istituto: sarebbe stata dura liberarcene anche senza pandemia, ma ce l’abbiamo fatta. Nonostante la sfortuna del sorteggio, che ha lasciato per ultimi proprio alcuni casi più delicati, siamo riusciti a concludere senza crisi, anzi alla fine erano giustamente ben tesi e il timore dell’esame ha fatto uscire il loro meglio…il presidente “ma perché sei così teso? Sono i tuoi prof!”…appunto! Parole da galera ci siamo detti nel corso degli anni, un rapporto estenuante e sanguigno che
non ricordo per nessun’altra classe e che mi è difficile riassumere in poche parole, quindi le prendo in prestito da Catullo che nel suo carme 85 dice:
“Odio ed amo. Come possa accadere, mi chiedi forse. Non lo so, ma sento che succede e ne sono dilaniato.”
La formula dell’esame, dovendolo ridurre ad un solo orale, a me è piaciuta e anche la necessità di dover stare nei tempi è stata alla fine un’ottima cosa per evitare quelle giornate estenuanti, finiva che gli esami erano una prova fisica non intellettuale! La difficoltà dei collegamenti? Ma sì, se si vedeva uno stallo si dava un suggerimento, noi poi avevamo una nostra carta vincente: Jesse Owens. Dopo pochi orali abbiamo capito che per 19 volte avremmo dovuto sentirci la storia del film Race-Il colore della vittoria per il CLIL di educazione motorie, così quando eravamo in difficoltà scattava l’invocazione, vista anche la disposizione circolare dei nostri banchi, alla fine abbiamo sfiorato la seduta spiritica. Altro passaggio obbligato la descrizione dell’esperienza al teatro Elfo-Puccini svolta in terza: un incubo che avremmo voluto seppellire. La coordinatrice aveva loro imposto di sforzarsi di trovarci qualcosa di positivo, ma bastava che il presidente facesse una qualsiasi piccola domanda che … “ah, sì sì in effetti questo spettacolo mi era piaciuto…ma era lungo due ore, che poi c’avevo messo la guida quindi me ne sono andato”, “si figuri che oltre a portarci a teatro, pure alle prove dovevamo andare!”…Angela fumava come un toro che vede rosso e io rimembravo le seste ore passate a cercare
di aiutarli per il compito di costruzione di una simulazione di budget teatrale mentre loro si ingozzavano di panini al salame: “che prof, noi avremmo preferito mangiare a teatro che anche le poltroncine son belle comode ma non ce lo permettono!”.
Va bè, è andata, ora andranno per il mondo…letteralmente! Il presidente ha capito subito che la domanda “come proseguirai gli studi?” era mal posta, qualcuno ha pure esplicitamente affermato “Studiare?! In questi cinque anni ho capito che non fa per me”… così il più tonto entrerà in polizia, avremo igieniste dentali, attrici di cinema ma famose, ballerine, vado a lavorare purché mi prendano, voglio lavorare coi bambini, solo in tre casi ci sono ambizioni accademiche in economia, in criminologia e in psicologia “perché ho capito che nel futuro prossimo gli psicologi avranno molto da lavorare”…come darle torto!

Ma una cosa è stata differente da tutti gli altri esami: i saluti e i ringraziamenti che in alcuni casi, proprio da parte dei più problematici, sono stati un momento di vera commozione inaspettata; parole non convenzionali con gli occhi lucidi e le parole rotte per trattenere un pianto di riconoscenza profondamente sentita che ha raggiunto il suo massimo nelle parole di E.L. “…voi sapete tutti la mia situazione, non c’è bisogno che dica i motivi, ma vorrei ringraziarvi tutti, non siete solo dei bravi prof nel vostro mestiere ma delle belle persone che mi hanno dato tantissimo…”, e ci siamo tutti veramente commossi.
Anche il presidente da esterno ne è rimasto molto colpito. Ultima nota di costume. Noi li abbiamo fatti salire uno alla volta, con mascherina negli spostamenti, belli spalmellati di gel, niente strette di mano, ma appena fuori oltre il cancello: è qui la festa! Il resto della classe aspettava fuori sulla strada, assembrata sotto i pochi spazi d’ombra, con bottiglie di spumante e coriandoli. Un po’ li capisco e devo dire che non hanno neppure ecceduto, ma dopo tutte le ore di insegnamento sul rispetto per l’ambiente, lasciare il tratto di strada pieno di bottiglie, bicchieri di plastica e immondizia varia!

Ma è il momento dei saluti e degli auguri per una serena estate, ma alcuni di noi avranno ancora l’impegno degli esami preliminari e altri saranno coinvolti nella progettazione della ripresa a settembre che si preannuncia tutt’altro che semplice viste le difficoltà di spazi e di tempi…potremmo costruire una scuola relativistica!
..un piccolo buco nero che fa da grossa massa sotto nei locali sotterranei, così da curvare talmente lo spazio-tempo all’interno delle aule da creare delle specie di marsupi in gran numero dove posizionare gli studenti belli distanziati in molti mondi in dimensioni parallele…forse…

Buona estate a tutti!
Barbara

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Posted by on sabato, Luglio 11, 2020 in Scuola e dintorni | 1 comment

Un’offerta che non si poteva rifiutare

Scusate la prolungata latitanza del blog, ma ho avuto da fare. Poiché, come tutti sanno, insegno al biennio delle superiori, normalmente riesco a evitare l’esame di Stato. Come commissari (interni o esterni) prendono in genere i docenti del triennio; per fare i presidenti di commissione bisogna fare apposita domanda che mi astengo scrupolosamente dal fare. Ma quest’anno, causa pandemia, tutto è stato diverso. Fin dall’inizio di giugno, si era capito che nessuno era al sicuro e che per l’incarico più temuto, quello di Presidente, tutti erano potenzialmente mobilitabili. E così, nel pomeriggio del 10 giugno, poco prima dell’inizio dell’ultimo scrutinio on line, che in teoria avrebbe dovuto essere l’ultima incombenza dell’anno scolastico, ecco arrivare la fatale mail del Provveditorato.

Precettata. Come Presidente di Commissione. Attimi di terrore puro. Ce la farà mai? E tutte le incomvbenze burocratiche? E le responsabilità? E tutto quello che può andare storto? E i ricorsi? Poi ho riflettuto. Quest’anno non ci sono gli scritti, tutte le Commissioni sono interne, durerà appena due settimane. Per rifiutare occorre darsi malati, il che significa, nell’anno del COVID, quarantena e isolamento domiciliare.

Mio marito, bieco economista, va subito a cercare la tabella dei compensi. Anche al netto delle trattenute, è una mezza mensilità in più, tutti soldi benedetti in un anno di crisi economica. Insomma, una proposta che non si poteva rifiutare. E così non la rifiutai, la sventurata rispose.

Per fortuna, la scuola non era lontana e conoscevo già qualche collega. Ho studiato cvon cura le Ordinanze Ministeriali come se fossero il manuale di funzionamento di un elettrodomestico. Ho stilato e verificato tonnellate di autocertificazioni, indossato e tolto mascherine, accertato che nessuno nelle due Commissioni sotto la mia presidenza fosse parente o affine di nessuno studente. Ho partecipato a una caotica riunione tecnica di tutti i presidenti della provincia, convocata dal Provveditorato. Ho scoperto con gioia che non esisteva più l’allucinante Conchiglia, il software di redazione dei verbali che era l’incubo di tutti i presidenti e segretari.

Alla fine, adempiute le indispensabili incombenze, l’esame si è riassunto in quaranta colloqui di mezz’ora ciascuno, in cui sono sfilate tutte le ben note tipologie di studenti. Più spaventati del solito, impacciati ma contenti di riprendere un minimo di scuola “in presenza” dopo quasi quattro mesi di clausura.

E poi le rassicuranti castronerie dei candidati, quelle che gli insegnanti si raccontano per anni. Quello che parla del Patto Pacifico, sbagliando di oceano. Quello che, rispondendo a una domanda sul Biennio Rosso e parla dello PSAI. Un po’ arrugginita dalla didattica a distanza, mi ci vuole un intero minuto prima di capire che non sta parlando di fenomeni paranormali PSY, ma del Partito Socialista Italiano (PSI, pronunciato con sfoggio d’inglese degno di miglior causa). Lo studente bravissimo che prende un meritato Cento e Lode, e il bocciato (l’unico) che dice sprezzantemente che tanto farà il calciatore.

Gli unici due commissari uomini che fanno a gara a chi è più maschilista. In zona Cesarini trionfa il più anziano, che dà fuori da matto perché non vuole dare il bonus a uno studente. Messo in minoranza, minaccia di chiamare l’Ispettore (l’Ispettore Generale di gogoliana memoria? Conoscendo il tipo, più probabilmente l’Ispettore Clouseau).

Alla fine, nonostante lo stress e tutto, è stata una bella esperienza. Valeva la pena, non solo per la paga (che deve ancora arrivare). Dopotutto, a quanto pare a settembre si torna a scuola in presenza (come esattamente non lo sappiamo) e riabituarmi a uscire di casa mi ha giovato.

 

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Posted by on sabato, Giugno 6, 2020 in Scuola e dintorni |

Il prossimo incubo

E al tempo della Grande Pandemia, COVID generò DAD. Venuto il tempo della Valutazione, DAD si accoppiò con MIUR e generò PIA e PAI. Nel linguaggio delle saghe, tra Genesi e fantasy, la racconteremmo così. Fatto sta che, da quando si è cominciato a predisporre gli scrutini di fine anno scolastico, gli insegnanti del nostro Paese hanno dovuto imparare due nuove sigle, da aggiungere allo zoo già esistente: PIA e PAI. Molto somiglianti e già questo ingenera confusione: il PAI (Piano di Apprendimento Individualizzato) va assegnato agli studenti insufficienti (che negli anni normali si beccherebbero il debito) ed elenca i contenuti che devono recuperare con annessi Obiettivi e Strategie. Il PIA (Piano di Integrazione degli Apprendimenti) riguarda invece l’intera classe ed è semplicemente (ma nulla nella burocrazia scolastica è semplice) la lista della spesa di quanto avevamo programmato di fare e causa pandemia non abbiamo fatto.

Come ho imparato a distinguere uno dall’altro? Il PAI ricorda le care vecchie patatine croccanti e salate della nostra infanzia, quindi, poiché riguarda gli alunni insufficienti (in linguaggio poco corretto, i somarelli) mi basta visualizzare un asino che si sgranocchia un sacchetto di patatine. A quel punto sono a posto: nella vita capita poco spesso di parlare del Partito Animalista Italiano, di avere a che fare con un Piano di Assetto Idrogeologico  o di programmare un volo aereo per la Cambogia (PAI è la sigla dell’aeroporo di Pailin). Magari viene di pensare alla pie, la torta all’americana che si pronuncia proprio PAI.

Il PIA fa venire in mente – rispolverando i ricordi delle superiori – il Purgatorio di Dante e la sua Pia dei Tolomei (Ricorditi di me che son la PIA …), o, per chi leggeva Topolino, la PIA (Paperon’s Intelligence Agency) in cui veniva forzatamente arruolato Paperino col ruolo di Agente QuQu7. Ma, lasciando da parte l’aeroporto di Peoria nell’Illinois (il cui codice IATA è appunto PIA), in inglese – sia in gergo medico che sui social – PIA è l’acronimo di Pain In the Ass, ovvero Dolore al Culo. Inteso sia in senso proprio che figurato (persone o situazioni possono risultare una pain in the ass, cioè una gran seccatura, per usare un eufemismo). E che il PIA sarà una gran PIA, pochi insegnanti ne dubitano.

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Posted by on sabato, Aprile 18, 2020 in Scuola e dintorni |

Nuove frontiere della didattica a distanza

Anche il Liceo delle Scienze Coreutiche Lucas Stephen Grabeel (LSC LSG, per gli amici), dal 24 febbraio aveva chiuso i battenti causa emergenza Covid-19, e docenti e discenti avevano dovuto entrare, per amore o per forza, nell’Era della Didattica a Distanza. Irriducibili adepti del tutto-cartaceo e analfabeti digitali avevano dovuto convertirsi rapidamente e in modo confuso, stante la mancanza di chiare indicazioni ministeriali. Il Preside Pigliaceli ogni due settimane si innamorava di una nuova App per lezioni, riunioni e classi virtuali, iscriveva tutta la scuola e inviava le credenziali d’accesso a docenti e studenti. Computer, tablet, smartphone erano saturi di applicazioni. La collega Segalosso (biologia) lamentò che aveva dovuto mettere in cantina la sua copia dell’Anatomia del Grey (firmata con dedica da Shonda Rhimes in persona) per fare spazio nella sua biblioteca a un raccoglitore a buchi pieno di password. Ogni mattina i professori si collegavano e sui loro monitor comparivano le facce, talvolta spaurite e disorientate, talvolta strafottenti, il più delle volte insonnolite, dei loro ragazzi e ragazze, e tentavano di spezzare il pane del sapere a distanza. L’indicazione era quella di rispettare il più possibile l’orario, ma c’era chi sconfinava nell’ora dei colleghi, e chi convocava le classi in orari improbabili o in giorni festivi. C’era chi aveva una pianificazione ferrea da qui a fine anno, e chi ogni mattina improvvisava, con esiti opposti: alcuni rivelavano insospettati talenti da stand up comedian, altri si impappinavano al microfono e perdevano il filo. La docente di Danza Classica mostrava i passi principali davanti allo schermo. Poi un giorno scivolò facendo una pirouette, e da allora si accontentò di mandare i link YouTube alle migliori scene di Giselle o Coppelia. Si era ben presto capito che non ci sarebbero state bocciature, ma il problema delle verifiche restava. Le piattaforme più sofisticate offrivano la possibilità di simulare al massimo della fedeltà il compito in classe, assegnando test e compiti da svolgere in tempo reale. Se no, si mandava via mail il compito da fare, che gli studenti restituivano regolarmente incompleto, illeggibile o in ritardo. La cosa più difficile da fare in modo ottimale erano le interrogazioni. A questo fu dedicato il Consiglio di Classe della Prima Kappa di quel venerdì pomeriggio. Era l’ultimo della settimana, e l’ultimo che si sarebbe tenuto a distanza con l’applicazione Mooz, la prediletta delle Squadre Speciali del Mossad. Da lunedì si sarebbe passati a Ciciareminsema, la prima App a chilometro zero, realizzata dai programmatori Brambilla e Frugnazza del Polo Tecnologico di Mozzate Vilcoso (Lecco). Il coordinatore, il prof di Francese Vereno Panigada, entrò subito in medias res: “Le interrogazioni che facciamo sono irregolari. Chi ci garantisce che questi adolescenti non imbroglino? Potrebbero farsi suggerire le risposte da un genitore o un fratello, leggerle sul cellulare, tenere il libro vicino. Senza contare che la sicurezza è un colabrodo, e bande di hacker russi e cinesi si infiltrano ogni giorno. Aspetto proposte.”

Le proposte fioccarono: ogni docente conosceva un collega che conosceva un altro collega, o un amico che aveva figli in altre scuole. Riassunto delle proposte formulate:

1) interrogare gli studenti da bendati (gli studenti, non i docenti);

2) chieder loro di rispondere alle domande mettendosi di profilo;

3) far loro alzare le mani durante l’interrogazione, per essere sicuri che non impugnino cellulari;

4) per esaltare l’interdisciplinarietà, richiedere loro di fare un passo di danza classica mentre rispondono;

5) chiedere di spegnere tutte le luci nella stanza;

6) fare indossare agli studenti un cappuccio stile Beati Paoli o una maschera di Halloween;

7) varie ed eventuali.

La videoseduta del Consiglio di Classe durò tre ore e non arrivò a nessuna decisione: ognuno difendeva a spada tratta la propria proposta e stroncava quelle altrui. Concordarono che ognuno avrebbe provato a modo suo, e poi si sarebbero rivisti.

Già dalla mattina dopo, su tutte le caselle mail dei docenti cominciarono ad arrivare (al posto dei soliti Enlarge Your Penis o L’Ultimo Investimento di Jovanotti Ha Lasciato a Bocca Aperta gli Esperti) decine di messaggi spam con collegamenti a siti di bondage o all’Enciclopedia universale del sadomaso. Gli hacker russi e cinesi avevano colpito ancora.

 

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Posted by on domenica, Aprile 5, 2020 in Scuola e dintorni |

Scandalosa Gilda

Come insegnante, il mio sindacato di riferimento è la Gilda. Nato nel 1988, da sempre si batte per la valorizzazione della professione docente, per la scuola pubblica, per il ruolo costituzionale dell’istruzione. Non hanno mai ceduto alle sirene della scuola-azienda e del preside-manager, e questo mi basta. Il nome si richiama a quello delle corporazioni medievali tese alla salvaguardia della “qualità” della professione contro le oligarchie feudali, come si legge su Wikipedia. “Gilda” viene forse dal germanico gelten (valore), o dall’anglosassone gylta (società religiosa). Ma proprio chi cerca il nome del sindacato su Wikipedia deve superare la pagina di disambiguazione, perché Gilda è un nome multisenso e assai evocativo.

Indimenticabile è il film Gilda di Charles Vidor (1946) che consacrò la grande Rita Hayworth nel ruolo omonimo di femme fatale. Difficile non visualizzare, quando si parla del sindacato, la figura di un’insegnante che fuma e canta Amado mio.

Il nome proprio, così sensuale, è la scorciatura dello zitellesco Ermenegilda, derivato dal visigoto Hermenegild (“che ha valore e consistenza”). Per gli appassionati del Martiriologio cattolico, sant’Ermenegildo si festeggia il 14 aprile, in onore di un principe visigoto che fu fatto giustiziare dal padre per avere abbandonato l’Arianesimo.

Scandalosa Gilda è il titolo di un film erotico del 1985 di e con Gabriele Lavia, una torbida quanto banale storia tra un disegnatore di fumetti spinti e una donna dell’alta borghesia romana (Monica Guerritore). A detta della critica, la parte migliore del film è l’inserto a cartoni animati (stile Mary Poppins), intitolato Scandalosa Gilda nel paese di Cazziglia.

Con queste premesse, non vi stupirà quel che sto per raccontarvi. Su Facebook seguo abitualmente le pagine della Gilda di Piacenza (soprattutto) e della Gilda di Venezia, sempre puntualmente informate, di grande aiuto in questo periodo in cui all’incertezza esistenziale del vivere in mezzo a una pandemia si aggiunge quella normativa per noi insegnanti, costretti ad avventurarci nel territorio sconosciuto della didattica a distanza, appesi a ogni di tipo di voce e indiscrezione su quando e come si concluderà questo strano anno scolastico.

Un giorno, mi è venuta la curiosità di controllare se esisteva una pagina FB della Gilda della mia città. ovviamente, ho digitato Gilda Milano. Sorprendentemente, il sindacato è solo al quarto posto nell’ordine dei risultati della ricerca. Al primo posto, stranamente ma non troppo, c’è una signora Gilda Milano che mostra le poppe con un sorriso malizioso e l’invito Vieni qui e divertiti con me caro, contattami al link sottostante. Al secondo posto, una Gilda Milano di Posillipo, persona normale che posta foto di cibo e di un bel bambino sorridente. Al terzo posto, Gilda Milano è una ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica) e centro studi sulla scoliosi, fondato nel 1986. Al quarto posto finalmente trovo come immagine di copertina il familiare simbolo del sindacato. Come foto del profilo ha la piazza del Duomo, ma nessun post dedicato a questioni scolastiche. In compenso le informazioni del profilo ci comunicano che il film preferito è Rain Man e una delle pagine seguite ha il bizzarro nome di Suhello Cammello Chebordello. La vera e propria pagina della Gilda di Milano sta al quinto posto, ma posta veramente pochissimo. Da quando è iniziata la quarantena solo un video demenziale con il sindaco di Lucera.

Mi sa che continuerò a seguire la Gilda di Piacenza e Venezia, anche se non è la mia città. E vi consiglio di non contattare Gilda Milano se siete alla ricerca di informazioni normative, didattiche o pensionistiche, altrimenti potreste vedervi offrire ben altre prestazioni …

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Posted by on domenica, Marzo 29, 2020 in Scuola e dintorni |

Cinque settimane nel pallone

Volevo fare alcune considerazioni e un piccolo bilancio, dopo cinque settimane di didattica a distanza (scelta obbligata data la ben nota pandemia).

Praticandola concretamente, abbiamo imparato molte cose rispetto a quando la didattica a distanza era auspicata, favoleggiata, messa su un piedistallo. Abbiamo capito che la scuola a distanza non è vera scuola, che una videolezione o un webinar (almeno per la scuola primaria e secondaria) non potrà mai sostituire la lezione frontale, in presenza. Ci vuole volta attenzione a che gli estranei non si infiltrino nelle lezioni – o apparendo per dire parolacce, come succedeva le prime volte – oppure aiutando o suggerendo. Diamo i compiti, ma non possiamo essere sicuri che dall’altra parte non vengano copiati o non ottengano degli aiutini. Diamo i compiti e molti alunni per decine di giorni non rispondono. D’altra parte, è vero che qualcosa si riesce a fare. Le difficoltà tecniche, la scarsa alfabetizzazione informatica, la complessità delle procedure, sono superabili. Io stessa, che non sono tecnologica, ormai riesco a fare otto videolezioni alla settimana.

I limiti, semmai, non stanno nella capacità tecnologica (chiunque da noi sa usare un computer o un cellulare), ma nelle risorse. Ci sono famiglie che possono permettersi una connessione più stabile o un hardware migliore, e famiglie che non ce la fanno. A Milano siamo fortunati come copertura di rete, ma ci sono intere zone d’Italia connesse male.

Non è vera scuola, ma almeno è un sostegno ai ragazzi, che hanno bisogno di vedere che i loro docenti ci sono ancora.

Un effetto collaterale positivo è che l’epidemia ha spazzato via, per quest’anno, le cose peggiori della scuola post-Gelmini e post-107: l’INVALSI, l?Alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria, l’ossessione della valutazione, molte pesantezze burocratiche che stavano mandandoci in burn-out.

L’emergenza ci ha ricordato che quel che conta nella scuola è il rapporto coi ragazzi e le ragazze e il resto dovrebbe essere solo contorno. Amnche quelle/i che in classe sono più spavaldi o menefreghisti, li abbiamo visti spaventati e disorientati: dobbiamo esserci per loro, nel modo che ognuna/o di noi ritiene migliore.

Per fortuna non ci è stata imposta un’unica modalità: forse al tempo di Renzi l’avrebbero fatto.

Dopo cinque settimane andiamo ancora avanti e non sappiamo come andrà a finire.

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