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Posted by on sabato, Giugno 1, 2024 in Casoretto e dintorni, Wurstel |

Werner Fugazza al supermercato

Werner Fugazza si recò all’Effecorta per il consueto spesone settimanale. Alla cassa si accorse che non aveva abbastanza contanti e, contrariamente alle sue abitudini, pagò con la carta di credito. Digitò il PIN e sul display comparve, in tutte maiuscole,  la scritta TRANS APPROVATA.

“Anche qui approvano i trans? Mi sembra che con questo gender si sta esagerando”, bofonchiò Werner e si ripromise di andare, dal sabato successivo, al Cagafoeura, sperando di trovare un ambiente meno LGBTQ-friendly.

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Posted by on domenica, Marzo 10, 2024 in Politica, Wurstel |

Per darti il brodo

Questo è un detto che ho sentito solo a Terni, nella mia infanzia, specialmente da mia madre. Quando qualcuno si dà le arie di averti fatto un gran favore, ma in realtà ha fatto più o meno il minimo sindacale, in vernacolo si dice che Si lava il c*lo per darti il brodo. Scusate l’asterisco, ma sapete come va con gli algoritmi di segnalazione.

Tutti hanno parenti o conoscenti così, che lo fanno per manipolarti. Ma è modo tipico di fare anche di certi governi, specialmente in campagna elettorale. Come stanziare fondi o elargire bonus con gran pompa e fervore propagandistico. Poi viene fuori che sono gli stessi fondi che erano stati tagliati alla chetichella nella finanziaria precedente.

Di governanti siffatti si usa dire, in tutto lo Stivale, che hanno la faccia come il c*lo. Per non dare di stomaco meglio non soffermarsi troppo a pensare alle qualità nutritive di un brodo preparato con questi ingredienti.

 

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Posted by on martedì, Dicembre 26, 2023 in Libri, Wurstel |

Più prequel per tutti

Mia figlia è andata a vedere Wonka, film che racconta la giovinezza di Willy Wonka, il geniale e folle cioccolataio creato da Roald Dahl e già interpretato sul grande schermo da Gene Wilder e Johnny Depp. Tecnicamente, si tratta di un prequel, ovvero del racconto di “cosa venne prima” una storia già nota e raccontata infinite volte. In quest’epoca in cui da un lato l’imperativo categorico dell’accumulazione impone di cavar sangue anche dalle rape più esangui, e dall’altra le idee originali scarseggiano, cinema e serie TV ci propongono volentieri non solo infiniti seguiti, ma anche, appunto, i prequel. Basti pensare, al cinema, a Joker, Crudelia, o a serie come Young Sheldon o Bates Motel. In gran parte la formula è quella del Bildungsroman (come lo chiamavano i tedeschi tempo fa), ovvero la ricostruzione di come l’eroe o eroina è diventato quello che conosciamo. Molto spesso il Nostro (o la Nostra) è ingenuo, stupido, pauroso se da grande sarà coraggioso, accorto ed efficiente; o buono se destinato a diventare un Supercattivo. Anche nella letteratura il prequel è stato utilizzato molte volte, talvolta dall’autore stesso se abbastanza longevo (vedi Asimov con gli innumerevoli Preludi alla Fondazione), per non parlare di chi ha incorporato il prequel nell’opera originale stessa (l’eroe eponimo della Vita e opinioni di Tristram Shandy di Sterne viene concepito centinaia di pagine dopo l’inizio). Poiché anche in letteratura ultimamente le idee difettano, ci permettiamo di suggerire alcuni prequel non ancora realizzati che potrebbero incontrare il favore del grande pubblico.

Da Alessandro Manzoni, Lucia e Renzo. Come si sono conosciuti i futuri Promessi Sposi? Che faceva il Griso prima di mettersi al servizio di Don Rodrigo? Quali famosi casi ha vinto Azzeccagarbugli, il Perry Mason del Seicento?

Da Lev Nikolajevic Tolstoj, Gli acciacchi di Ivan Ilic. Apologo sull’importanza della prevenzione sanitaria.

Da Robert Musil, Il ragazzo senza qualità. Gli studi e i primi amori di Ulrich, già indeciso su cosa fare della propria vita.

Da Giacomo Leopardi, Il venerdì del villaggio. Se il sabato è il più bel giorno perché contiene l’attesa della domenica, anche il venerdì non deve essere tanto male. Volendo, si può regredire sino al martedì (fino al lunedì non sarebbe credibile).

Da Dietrich Bonhoeefer, Prequela. Critica e ammonimento contro i maldestri che, invece di seguire Gesù Cristo, pretendono di precederlo e inevitabilmente si perdono perché nel deserto il GPS non prende.

Da Carlo Collodi, Le avventure di Geppetto. Un falegname toscano alla ricerca della propria vocazione professionale.

Da William Shakespeare, Duncan. Anche il re di Scozia ucciso da Macbeth non era certo uno stinco di santo.

Da Mary Shelley, Il giovane Frankenstein. Non quello di Mel Brooks.

Da Ivan Sergeevic Turgenev, Nonni e padri. Si parla di nichilismo, ma una generazione prima.

Da Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni prima della solitudine. Cosa succedeva a Macondo prima dell’arrivo del clan dei Buendia.

Da Marguerite Yourcenar, Memorie di Traiano. Anche il predecessore di Adriano ha qualcosa da raccontare.

Da Herman Melville, Achab. Vita e primi comandi del leggendario capitano, fino al fatale incontro con un certo cetaceo bianco.

Da Jaroslav Hasek, Il buon civile Svejk. Bevute, racconti, risse e traffico di cani prima dell’arruolamento.

Da Eduardo De Filippo, Halloween in casa Cupiello. E il padre di famiglia disse “Nun me piace ‘a cucuzza”.

Da Ernest Hemingway, Il giovane e il mare. L’apprendista pescatore Santiago rimane ottantatré giorni senza acchiappare un pesce. Ma si può sempre far meglio.

E naturalmente, il Prequel dei Prequel tratto dal Libro dei Libri:

La prebibbia. La difficile convivenza tra l’Eterno e il Caos sconvolta da un discutibile atto creativo.

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Posted by on venerdì, Dicembre 8, 2023 in Wurstel |

La palla e la squadriglia

Dal primo di giugno 2023 i giocatori di Pokémon Go hanno la possibilità di ottenere (oltre alle normali Palle rosse, blu e gialle – scusate la rima involontaria) – anche la cosiddetta Master Ball, ovvero la Palla Infallibile. Tale palla, riconoscibile dalla M e dai colori, ha infatti un tasso di cattura del 100 per cento, cioè garantisce di acchiappare il mostriciattolo virtuale senza mai sbagliare. Ne ho conquistate in questi mesi due, la seconda attraverso una faticosissima ricerca che mi ha richiesto tra l’altro di eseguire CENTOVENTI tiri eccellenti in poco più di novanta giorni, cosa della quale non sarei mai stata capace. Tutto bene, quindi? In realtà, come si può capire, possedere una palla tanto rara quanto infallibile mette addosso un po’ di ansia. Sai che se la usi catturi il Pokémon sicuramente, ma altrettanto sicuramente non l’avrai mai più adisposizione e chissà per quanti mesi (o anni) potrai procurartene un’altra, e chissà a quale prezzo. Di colpo, nessun Pokémon sembra così irresistibile da valere la pena di usarla.

Potremmo chiamare questa situazione Il Paradosso della Squadriglia della Morte.

La squadriglia della morte è un racconto del grande umorista Achille Campanile (pubblicato nel 1974, nella raccolta Gli asparagi e l’immortalità dell’anima). In esso un tale capitano Zadaras racconta come, durante l’ultima guerra, avesse avuto l’onore e l’onere di comandare la Squadriglia della Morte. Un pugno di uomini valorosi, votati al sacrificio, destinati alle missioni più perigliose, quelle in cui la morte era non solo un rischio, ma quasi una certezza. Pian piano però negli alti comandi (non senza l’incoraggiamento di Zadaras stesso) si diffuse il dubbio: ma una volta inviata (e quasi certamente sacrificata) la Squadriglia della Morte, dove si troveranno altrettanti uomini coraggiosi e decisi a tutto? Fu così che gli uomini della Squadriglia della Morte, durante tutto il conflitto, furono salvaguardati e tenuti nella bambagia, al riparo da ogni rischio, in attesa che venisse (e non venne mai) la missione in cui spenderli. Conclude Zabaras nel racconto: Il più calmo, piacevole e riposato periodo della mia vita lo trascorsi in qualità di comandante della squadriglia della morte.

E così rischiava di capitare anche per le mie due preziosissime Master Ball. Poi un giorno ho incontrato un bellissimo Dragonite col cilindro e sapete come vanno queste cose. Addio Master Ball, benvenuto drago con cilindro. Ma l’altra me la tengo stretta al calduccio, non si sa mai.

 

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Posted by on domenica, Luglio 30, 2023 in Wurstel |

Werner Fugazza e i lanzichenecchi di Albairate

Werner Fugazza incrociò sul pianerottolo l’ingegner Scannabue ed entrò subito in argomento.

«Ieri, dovendo andare da Lambrate ad Albairate per l’annuale Sagra della Busecca Coppata Con Finferli Trifolati, presi un convoglio di Trenord. Trovai un posto vicino al finestrino …»,

Scannabue si rassegnò: quando Werner partiva in quarta non c’era nulla da fare se non ascoltarlo sino al termine.

«Come sempre durante i viaggi lunghi e avventurosi, tirai fuori il mio telefonino e cominciai a guardare i miei video preferiti su Iutùbb: i funerali di Berlusconi e di Paolo Limiti, una compilation dei migliori rigori sbagliati da Evaristo Beccalossi, la spassosissima webseries sul Petauro Petomane. Vicino a me sedeva un tipo che avrà avuto sui settant’anni. Aveva i capelli bianchi, gli occhiali, un vestito molto stazzonato di lino blu (malgrado il caldo) e una camicia leggera. Aveva una cartella di cuoio marrone da cui estrasse tre giornali che mi pare si chiamavano New York Times, Financial Times, Robinson. Cercai di attaccare discorso parlandogli del Petauro e dell’odioso voltafaccia di Lukaku, ma quello niente. Anzi, tirò fuori un taccuino, una penna stilografica e un libro, che si chiamava se non sbaglio Sodoma e Gomorra. Finalmente qualcosa che capivo cos’era: Gomorra è quella serie televisiva dove ci sono i terroni camorristi che si ammazzano tra loro, magari quello era uno spin-off. Glielo chiesi ma non ebbi risposta. Disperato, mi guardai intorno. Tutti i miei vicini di vagone erano identici a lui. Dieci, trenta, cinquanta settantenni in lino blu stazzonato, camicia bianca e cartella di cuoio. Tutti avevano l’orologio e nessuno lo smartphone. Cercai di rivolgermi a qualcun altro di Loro, parlando di ragazze e di quale era il posto più figo per beccarle, se il night o la spiaggia. Niente, continuavano a prendere appunti con quelle odiose stilografiche. Intanto il treno, era arrivato a Cesano Boscone. Non sapevo che per andare da Lambrate ad Albairate si dovesse passare da Cesano Boscone, e poi persino da Gaggiano. Pensavo di avere sbagliato treno, ma invece è così. E a ogni stazione (anche a Trezzano sul Naviglio) ne salivano almeno cinque di loro. Mi sentivo come Frodo Baggins in Guerre Stellari quando viene circondato dai Lanzichenecchi.  Ma forse erano solo dei cosplàier, quei tizi che si vestono da personaggi dei fumetti per andare alle loro convenscion. Arrivato ad Albairate, mi sono alzato e me ne sono andato, nessuno mi ha salutato e non ho salutato nessuno». Il cagnetto Darkopancev, che era stato muto testimone dei fatti, scodinzolò significativamente all’ingegnere.

Poi arrivò l’ascensore e Werner vi si buttò dentro, mentre Scannabue rimaneva pensieroso davanti alla propria porta di casa. Entrò, si chiuse dentro a quattro mandate, staccò il telefono, tirò fuori dall’armadio il suo ansible e tracciò le coordinate di Boote Nekkar Epsilon.

Sullo schermo comparve un molosso in divisa blu con alamari bianchi. «Contrammiraglio Elkagnolinn», disse senza preamboli Scannabue «ho scoperto dove si svolgerà la Malefica Raunanza»

«Dove?»

«Albairate».

Come tutti sanno, la Malefica Raunanza è il nome che i Bootiani danno al raduno biennale degli agenti infiltrati antropoformi al servizio degli inesportabili Furetti di Aldebaran (che il Gatto di Schrōdinger li scotomizzi!). Essi sono usi (a loro dire, per passare meglio inosservati e per dare idea di granitica compattezza) antropoformarsi tutti in modo identico, decidendo la guisa in cui presentarsi in base ai Trending Topic del momento (nell’estate 2019, per dirne una, la cima del Kilimangiaro aveva ospitato un centinaio di Matteo Salvini con mojito d’ordinanza).

Concordate le opportune misure di infiltrazione, disturbo ed esfiltrazione da propinare ai millenari nemici, Scannabue ed Elkagnolinn si salutarono con l’iconica parola d’ordine Sempre viva la F.I.G.A. (Forza d’Infiltrazione Galattica Autocefala).

Quella sera, dopo ore di ricerca in Rete, compresi gli anfratti più malfamati del Dark Web, Werner Fugazza si dovette rassegnare: Sodoma e Gomorra non era disponibile su nessuna piattaforma, né era in programma a tempi medi. Si consolò con un’amichevole tra Kaiseripor e Salsomaggiore, con commento tecnico in bulgaro e sottotitoli in norvegese.

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Posted by on domenica, Luglio 16, 2023 in Arti Marziali, Wurstel |

Classici rovinati

Una sera d’estate, in attesa di scoprire una serie che avvinca, decido di riscoprire una storia classica: i sempreverdi Tre Moschettieri. Su una ben nota piattaforma trovo una versione abbastanza recente (2018) per scoprire solo all’ultimo momento che trattasi di produzione italiana. Decido di superare le mie ben note (e fondate) diffidenze verso il cinema nostrano e provo a dargli una chance: dopotutto, mi dico, per rovinare la perfetta macchina narrativa di Alexandre Dumas padre (con la collaborazione di Auguste Maquet e innumerevoli ghostwriters) ce ne vuole. Ebbene, ce n’è voluta, ma Moschettieri del Re (regia di Giovanni Veronesi, sceneggiatura di Veronesi stesso e di tal Nicola Baldoni) ha superato brillantemente la prova, trasformando un classico senza tempo in una marmellata senza senso. Il film (che porta il sottotitolo La penultima missione) sceglie di non adattare uno dei tre romanzi della saga dumassiana, ma di scrivere una storia originale, praticamente una fanfiction (e ci può stare). L’azione è situata “nel 1650 suppergiù”, ovvero venticinque anni dopo i Tre Moschettieri canonici, e inizia nel modo classico di un sequel: la regina Anna d’Austria (allora reggente in vece del minorenne Luigi XIV, in perenne conflitto con il Cardinale Mazarino) richiama i Tre (anzi Quattro) più o meno felicemente pensionati, per una pericolosa missione. D’Artagnan si è ritirato in campagna, dove alleva maiali e fa il porco con le mogli dei vicini. Stranamente, l’interprete Pierfrancesco Favino presta al personaggio un inopinato e caricaturale accento francese, un tantino incongruo in una storia ambientata in Francia. Athos (Rocco Papaleo) è diventato un vizioso castellano bisessuale dall’accento vagamente lucano. Aramis (Sergio Rubini), più canonicamente, si è fatto frate dall’accento sardo. Infine, Porthos è diventato un patetico rottame alcolista. Lo interpreta Valerio Mastandrea, che recentemente ha prestato la voce all’Armadillo, la coscienza cinica del fumettaro Zerocalcare, ovviamente in romanesco stretto. Anche per questo mio marito, reduce dal binge-watching di Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, da quel momento ha smesso di prendere il film sul serio, visto che ogni volta che sentiva parlare Porthos gli veniva di visualizzare un armadillo arancione antropomorfo. Fosse stato solo questo il problema! La realtà è che il film si è trascinato per un’ora e quarantacinque minuti in modo inconcludente, con gag volgari, recitazione improbabile, borbottii incomprensibili che fanno tanto “cinema italiano”. Poco credibile la missione affidata ai Moschettieri, che dovrebbero salvare gli Ugonotti (tra i quali inopinatamente viene a trovarsi il drammaturgo Molière) dalle mene di Mazarino (Alessandro Haber) il quale rotea gli occhi e ammazza disinvoltamente i suoi stessi subalterni come un cattivaccio da fumetto di serie C. Compare a un certo punto la femme fatale Milady (che però non è la stessa Milady dei Tre Moschettieri, visto che non conosce nessuno degli eroi e nessuno la conosce), senza dimenticare un servo muto che è una sorta di androide quasi invulnerabile. Verso la fine l’azione comincia a diventare ancora più incoerente: la dama di compagnia della regina e gli stessi Moschettieri riescono a coprire distanze di migliaia di chilometri a cavallo in poche ore; Milady si trasforma in un corvo nero e sparisce; il giovanissimo Re (non ancora) Sole viene rapito da ignoti e portato al confine con la Spagna; i poveri ugonotti da salvare vengono dimenticati e mai più menzionati. Di colpo, dissolvenza e (trovata che in tutte le scuole di sceneggiatura viene altamente sconsigliata) si scopre che la vicenda era stata tutta (tutta? anche le scene di sesso esplicito?) immaginata da un ragazzino dodicenne, che in attesa dei funerali di uno zio si era messo a leggere, per scacciare la noia e il dolore, un libro illustrato chiamato per l’appunto Moschettieri del Re. Il ragazzino scende in salotto e lì scopriamo che tutti i personaggi della storia avventurosa sono in realtà la trasfigurazione dei suoi parenti (Mazarino è il nonno carogna, il Servo Muto lo zio morto e così via). E qui la storia finisce, nella proverbiale coda di pesce.

Incredibilmente, il film (insignito nel 2019 del Premio Flaiano, probabilmente durante un momento di ubriachezza molesta della giuria) ha avuto un seguito, cosa che non si dovrebbe mai fare quando il primo film termina spiegando che Era Tutto Un Sogno. Nel 2020 è infatti uscito Tutti per 1 – 1 per tutti, opera recidiva dello stesso regista e degli stessi sceneggiatori. Stavolta il film comincia ai giorni nostri (2020) in piena epidemia di COVID: il ragazzino del primo film (che si chiamava Antonio e ora si chiama Uno) vive l’ultimo girono di scuola (tutti sfoggiano una stupenda chirurgica azzurra anziché le FFP2 che erano di rigore) e il maestro invita la classe a salutare la graziosa compagnuccia Ginevra (di cui tutti i maschietti, Uno compreso, sono segretamente innamorati) che parte per l’Inghilterra al seguito della madre. Dopo avere goffamente abbracciato Ginevra, Uno cominia a fantasticare e si ritrova protagonista della nuova avventura dei Moschettieri, chiamati dalla regina Anna a scortare Enrichetta d’Inghilterra in Olanda per dare in sposa la figlioletta Ginevra al principe d’Orange. Qui la licenza storica comincia a diventare eccessiva, visto che la vera Enrichetta nacque nel 1644, morì a 26 anni (qui il personaggio è quasi quarantenne) e non ebbe mai una figlia a nome Ginevra. Il film elimina un po’ di personaggi che erano centrali in quello precedente: non compaiono più Mazarino e Luigi XIV, ma soprattutto i Tre Moschettieri sono tornati Tre perché Aramis è morto (non vengono mai citate le circostanze ma si allude al fatto che siano vergognose): forse Sergio Rubini aveva litigato col produttore? Aramis comunque si è opportunamente reincarnato in un grazioso lupacchiotto (!) che fa da guida spirituale al giovane Uno. Con la partecipazione straordinaria di Cyrano de Bergerac e della Corte dei Miracoli, stranamente trasferita in campagna. Il film è venti minuti più lungo del precedente e se possibile ancora più sconclusionato, e secondo il benevolo giudizio di Wikipedia vorrebbe ricalcare la metanarrazione di La Storia Infinita, con l’alternarsi di sequenze reali e oniriche. La vicenda infatti si conclude con l’assalto dei Tre Moschettieri al furgoncino che porta Ginevra e la madre all’aeroporto: il piccolo Uno la rapisce per sé e vissero tutti felici e contenti. Si noti la visione tipicamente patriarcale delle donne nel film, dove esse sono tutte o vogliose più o meno represse (un picco del trash è la scena di sesso “a pecora” tra la regina Enrichetta e d’Artagnan, oltretutto inutile nell’economia narrativa), o damigelle in pericolo passive e contese tra Buoni e Cattivi come un baule di dobloni (Ginevra).

La conclusione è quanto mai diseducativa visto che – con l’alibi della Fantasia e dell’Immaginazione – si invitano i giovani maschi a non accettare la frustrazione sentimentale (ci può stare che la compagna di scuola che ti piaceva si trasferisca in un altro paese – ti fai dare l’indirizzo e vi scrivete, o vi messaggiate con Skype e simili, no?), ma a prendersi con la forza (e con l’aiuto di amici immaginari potenti e invincibili) ciò che il destino ti nega.

Direi che per quest’estate ho fatto il pieno di masochismo cinematografico. Da ora in poi, solo classici sperimentati.

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