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Posted by on domenica, Maggio 7, 2023 in Wurstel |

Werner Fugazza in Giappone

Riassunto della puntata precedente. Mentre ero ad Opera per uno stage di Karate, mio marito ha incautamente addestrato CHATGPT, la ben nota intelligenza artificiale, a occuparsi del blog e a rivitalizzare il personaggio di Werner Fugazza. Con buona volontà degna di miglior causa, l’algoritmo ha trasformato il Giustiziere di via Falloppio in un addestratore di cani di fama mondiale, e ha anche scritto una breve avventura, che vi presento tradotta dall’inglese.

Werner Fugazza aveva sempre sognato di viaggiare nel mondo coi suoi cani e di esplorare nuove culture e nuove tecniche di addestramento. Un giorno ricevette un invito per partecipare a un seminario di addestramento canino in Giappone, e colse al volo l’opportunità di visitare il paese e di imparare da alcuni dei più importanti addestratori di cani del mondo. Appena arrivato in Giappone, Werner rimase colpito dalla bellezza e dalla cultura del paese. Passò i primi giorni a esplorare le strade di Tokyo e ad assaggiare la cucina locale, ma quello che lo eccitava di più era l’idea di partecipare al seminario e di incontrare altri addestratori. Il seminario si teneva in un tradizionale dojo giapponese, e Werner rimase stupito dalla precisione e dalla disciplina degli addestratori locali. Fece rapidamente amicizia con alcuni di loro e cominciarono a scambiarsi idee e tecniche di addestramento. Una sera, dopo la conclusione del seminario, Werner fu invitato da uno dei suoi nuovi amici in un ristorante locale. Mentre camminavano per le tranquille strade di Tokyo, sentirono un debole gemito che proveniva da un vicolo. Werner riconobbe immediatamente il suono: era un cane in difficoltà. Si affrettò a indagare. Nel vicolo trovarono un cagnolino intrappolato in un bidone della spazzatura, circondato da contenitori di cibo vuoti. Velocemente, Werner tirò fuori il cane e lo esaminò, e si accorse che era severamente malnutrito e ferito. Senza esitare, Werner si offrì di portare il cane nella propria camera d’albergo e di prendersene cura, fintanto che non si fosse trovata una sistemazione permanente per il povero animale. Spese il resto delle vacanze accudendo il cane fino a riportarlo in salute. Alla fine, il cane era completamente diverso, pieno di energia e di vita. Werner tornò a casa con una rinnovata comprensione per la gentilezza e la compassione delle persone in tutto il mondo, e con un profondo impegno per usare le tecniche di addestramento canino per aiutare gli animali in stato di bisogno.

Bella storiella, con morale edificante, vero? Ma è ovvio che per renderla coerente con la continuity del Werner Fugazza che conosciamo dovrei fare sforzi immani, a paragone dei quali le fatiche degli sceneggiatori del Marvel Cinematic Universe sembreranno dei blandi esercizi di riscaldamento.

Potrei raccontarvi che quest’avventura è una sorta di prologo alla saga di Werner, che l’incontro con lo sfortunato cagnetto giapponese (che ovviamente diventerà Darkopancev, il fedele compagno di Werner) è l’epifania che trasformerà l’addestratore argentino in un impiegato delle Poste con base al Casoretto. Una classica origin story, come il morso del ragno radioattivo che trasforma il liceale sfigato Peter Parker nell’altrettanto sfigato Spiderman. Poi resta solo da vedere come farci entrare l’Architetto Scannabue, BNE e gli Imperscrutabili Furetti di Aldebaran.

Meglio rifletterci su, magari non è ancora giunta l’ora di farsi sostituire da un’Intelligenza Artificiale per raccontare storie.

 

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Posted by on sabato, Aprile 1, 2023 in Wurstel |

Il costo della distanza

PokémonGo, il noto gioco per smartphone in cui bisogna catturare mostriciattoli camminando, sta per compiere sette anni. Certo, non è più una novità e i giovanissimi cominciano a trattarlo come “una boomerata”, ma per me rimane un ottimo ed economico antistress. Una delle avventure più eccitanti è il Raid a distanza. In soldoni, un Raid è quando una palestra viene occupata da un Pokémon (che può essere debole o fortissimo) e più giocatori si associano per batterlo e tentarne la cattura. In periodo COVID sono stati introdotti i raid a distanza: non si era più vincolati alle palestre a portata di mano, ma con un biglietto speciale si poteva partecipare a Raid anche in un altro continente, se invitati da altri giocatori. Il biglietto Raid a distanza è sempre costato 100 Pokémonete (non impossibili da procurarsi), il pacchetto da tre biglietti prima 250, poi 300. Oggi è comparsa la notizia che da giovedì 6 aprile sera il prezzo del Raid a distanza passerà da 100 a 195 e quello del pacchetto di tre da 300 a 525. Insomma, l’inflazione, che siamo tornati a conoscere in questi ultimi due anni, si fa sentire anche nel mondo virtuale con aumenti  tra il 75 e il 95 per cento. Altro che la bolletta del gas.

Il comunicato di Niantic ricorda un po’ quelli del Comune quando aumentano le tariffe dei mezzi pubblici. La cosa più interessante è che la manovra viene presentata con il dolce eufemismo di bilanciamento (anziché il classico adeguamento tanto amato dai decisori nostrani). Non si sa bene cosa venga bilanciato con cosa, ma tant’è. A meno che non sia la classica politica dei due tempi: fate sacrifici oggi, poi sarete ripagati in un luminoso futuro. Per i giocatori (come per i lavoratori in contesti più seri) l’aumento dei prezzi arriva subito, quello delle remunerazioni chissà.

L’ingresso di PokémonGo (nato negli anni della bassa inflazione e della liquidità facile) nel duro mondo della stagflazione va comunque salutato come una svolta storica. Come sappiamo, il gioco era nato nella modalità scanzonata dell’Amico Zuzzurellone: ti porto a esplorare il mondo – a costo di visitare luoghi pericolosi. Poi, già prima del COVID, con l’introduzione dell’allerta meteo, era entrato in modalità Mamma Apprensiva: copriti che fuori piove e tira vento, esplora ma con prudenza. Ora il gioco acquisirà la nuova modalità Banchiere Centrale, con severo controllo dei prezzi e manovra dei tassi. Tra poco il Professor Willow cambierà look e adotterà il gessato grigio alla Mario Monti.

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Posted by on domenica, Giugno 5, 2022 in Wurstel |

La notte dei lunghi munghi

Anche dopo più di trent’anni di frequentazione sono in grado di stupire mio marito. Vi disilludo subito: non sono consigli stile Cosmopolitan per tenera accesa la passione in camera da letto. Semplicemente, mezz’ora fa, alla sua domanda Cosa organizza X per il suo compleanno? (dove per X s’intende un parente noto per il braccino corto e la tendenza allo scrocco) ho risposto lapidariamente I munghi. Il mio consorte è cascato dal pero, come se gli avessi risposto in Klingon o altra lingua esotica (ci sta anche bene, perché oggi è Pentecoste).

In generale, si risponde i munghi come simpatico eufemismo al posto del brutale kolkazzo o peggio. L’ho sentito usare a Terni da mia mamma e da moltissime altre persone, e solo oggi ho scoperto che al Nord l’espressione è pressoché sconosciuta.

Più che una semplice risposta, si tratta di un elaborato rito sociale (volto, come gli sbudellamenti nelle tragedie classiche, a creare catarsi) in quattro battute del tipo:

D) Cosa si mangia stasera?

R) I munghi!

D) E che sò i munghi?

R) Sò ‘lli kazzi lunghi lunghi.

Cercare munghi in Rete è un’esperienza particolare. Siti di slang ne danno il significato a me noto – ma secondo alcuni usare la parola denuncia un’età superiore alla cinquantina, un po’ come dire E che, ci ho scritto Joe Condor?

Altrimenti, i munghi sono le manguste striate (Mungo mungo, diffuso in Sudafrica), una varietà di fagioli biologici o una ricetta di arance caramellate.

Senza dimenticare, per i fan della saga di Harry Potter, l’Ospedale di San Mungo.

 

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Posted by on domenica, Dicembre 26, 2021 in Wurstel |

Lo scoglio nato

Capita anche a voi di sentirvi un po’ scoglionate/i?

Se sì, attenti a verificare la latitudine alla quale vi trovate quando lo affermate. Qui nel Nord Italia ho ormai imparato che “scoglionato” significa “annoiato, infastidito, stanco”.  Ma nella mia nativa Umbria, e altrove nel Centro Italia, uno “scoglionato” è qualcuno troppo esigente, o troppo sofisticato, di carattere difficile.

A Terni l’appellativo scivola verso il suo senso letterale (“scoglionati” erano i cori di voci bianche, molto apprezzati in terra pontificia). Da lì di nuovo verso il traslato: uno “scoglionato” è un “senza palle”in tutti i sensi del termine, comprese le implicazioni omofobe. Una versione locale di Matteo 19:12 avrebbe probabilmente recitato così:

Ci sono scoglionati che nacquero così dal ventre della madre, scoglionati che furono resi tali dagli uomini e scoglionati che si resero tali per il Regno dei cieli.

Se vogliamo unire in una sola locuzione le due accezioni, possiamo affermare che la prolungata esposizione (tipica del periodo festivo) a parenti scoglionati rende scoglionati a propria volta, ovvero che chi va con lo scoglionato impara a scoglionare…

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Posted by on domenica, Dicembre 12, 2021 in Wurstel | 1 comment

Werner Fugazza e il filmetto danese

Dopo infruttuosi tentativi di procurarsi Green Pass taroccati, Werner Fugazza si rassegnò a vaccinarsi. Al centro vaccinale “Bertolaso Forever” (allestito in fretta e furia dalla Regione in una cascina sperduta del Parco Lambro) chiese energicamente che gli inoculassero Pfizer, e solo quello.

Magari ci hanno lasciato dentro un po’ di Viagra, si disse. Tentò subito di saggiare i possibili effetti collaterali invitando a cena la graziosa infermiera somministratrice, ma senza esito. Forse era troppo presto.

Dopo ventiquattro ore di dolori alla cervicale, alla pancia e alle ginocchia, si sentì decisamente meglio. Progettò una passeggiatina in via Vallazze: avrebbe portato il cagnetto Darkopancev a espletare i bisognini, e nel contempo avrebbe cercato una valorosa operatrice del settore per qualche ora di interazione fisica mercenaria.

Ma l’indispensabile attrezzo, ad onta delle mirabolanti promesse dei produttori del Viagra, rifiutava di elevarsi al di sopra degli abituali standard. Fortunatamente, Werner Fugazza aveva in casa quel che ci vuole per stimolare gli organi fiacchi. Da anni il collega Presunzio Mascelloni, ora felicemente in quiescenza, gli aveva prestato un DVD di cui si dicevano mirabilie.

Si trattava di C’è del bagnato in Danimarca, filmetto erotico realizzato negli Anni Zero nella patria di Amleto e Christian Eriksen. Un entusiasta retro copertina ne vantava la sensualità senza precedenti, impreziosita dalle performance dei due protagonisti: Ikka Darmsgaard (la perversa Sirenetta bionda) ed Elsker Thorvaldsen (il Rocco Siffredi dei fiordi).

Sfortunatamente, il videoregistratore – non utilizzato da anni – funzionava male: non c’era modo di avviare l’audio.  Non che facesse molto la differenza: per almeno quindici minuti (forse per dare un po’ di dignità artistica all’opera), la regia si attardava a mostrare scenari bucolici e un lunghissimo antefatto nel quale il Rocco Siffredi dei fiordi tentava invano di ricaricare la tessera della metropolitana di Copenhagen infilandola ripetutamente in un orifizio poco collaborativo.

Quando finalmente la storia cominciò a instradarsi sui binari consolidati del genere (in una specie di castello di cartapesta, Thorvaldsen esibì la propria abbondante mercanzia davanti alla Darmsgaard e ad un’altra donzella non accreditata nel cast) anche Werner riuscì ad aggiustare in qualche modo l’audio. Purtroppo lo regolò male, e si dovette rassegnare a vedere il filmetto (che finalmente ingranava) con l’audio di Raiuno. Quella sera trasmettevano, in diretta da Belfast, il decisivo incontro di calcio tra Irlanda del Nord e Italia.

La partita finì in bianco, e così fece la serata di Werner. La combinazione tra le spericolate prodezze degli attori danesi e la mediocre prestazione degli azzurri – commentata dai telecronisti con toni di profondo sconforto e pessimismo cosmico – fu micidiale per l’infelice batacchio del Nostro, che rimase ridotto ai minimi termini.

Il giorno dopo, Werner Fugazza si mise a cercare sul mercato nero un videoregistratore usato ma funzionante. L’offerta più conveniente lo dava in cambio di sette Green Pass fasulli.

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Posted by on domenica, Ottobre 17, 2021 in Wurstel |

Nozze ad Asheville

In attesa di rientrare in Italia per le vacanze natalizie, mia figlia Arianna si sta godendo un weekend lungo nel North Carolina, per assistere al matrimonio di un’amica. Il lieto avvenimento ha luogo ad Asheville,  nella contea di Buscombe. Con i suoi 92.000 abitanti circa, è – secondo Wikipedia – “la città più grande del North Carolina Occidentale, e continua a crescere” (immobiliaristi milanesi, dimenticatevi lo stadio di San Siro e gli affari sugli ex scali ferroviari: il Nuovo Continente vi chiama!).

Deve il suo nome ad un tale Samuel Ashe, proprietario di schiavi (tra i quali gli antenati di Arthur Ashe, il primo tennista nero a vincere sia Wimbledon che gli US Open). Molto pratico, perché nel caso – auspicabile – di un abbattimento dei simboli dello schiavismo, non ci sarebbe bisogno neanche di cambiare nome alla città. Asheville è nota altresì per essere il luogo di nascita dello scrittore Thomas Wolfe (da non confondere con Tom Wolfe, né con Nero Wolfe). Inoltre ospita il Bitmore Estate, la più grande casa privata degli Stati Uniti (nota anche come “il castello di Richie Rich” perché vi fu girato un film con Macaulay Culkin – quello di Mamma ho perso l’aereo – nella parte di un fanciullo miliardario).

Proprio nella lussuosa cornice del Bitmore Estate si è tenuto ieri il matrimonio, durante il quale Arianna ha assistito a:

  1. la spiritosa decorazione a tema fallico della stanza dove si è tenuto l’addio al nubilato (in inglese bachelorette party);
  2. l’inquietante cena di prova, replicata poi nella cena vera e propria (piatto forte: mozzarella e pomodoro);
  3. i classici discorsi dei testimoni con salaci battutine sugli sposi;
  4. l’immancabile officiante reclutato su Internet;
  5. un imbarazzante litigio tra due parenti anziani sui posti da assegnare nella tomba di famiglia;
  6. lugubri discorsi tra madre e sorella della sposa sul tema “le anatre maschio per sbaglio ammazzano le anatre femmina montandole nell’acqua e facendole annegare”;
  7. il taglio della torta nuziale avvenuto in gran segreto (perché?).

Insomma, più o meno le solite cose.

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