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Posted by on giovedì, Aprile 19, 2018 in New York |

La taverna museo

Nel cuore del quartiere degli affari, poco lontano dai traghetti che portano a Staten Island o alla Statua della Libertà, tra un tempio della finanza e l’altro si possono trovare testimonianze della Manhattan precedente alla guerra d’indipendenza. Uno di questi edifici è la Fraunces Tavern, che già per un verso è particolare: non si tratta del solito museo con caffetteria incorporata, ma di un ristorante (non a buon mercato), erede di un’antica taverna, con museo ai piani superiori. All’ingresso, quindi, ti chiedono subito “Ristorante o museo?”. Se t’interessa il museo, sali la scala e acquisti il biglietto da un cortese e ciarliero ragazzo che ti spiega tutto. Le esposizioni (permanenti e temporanee) sono in poche salette, che ti mostrano la storia dell’edificio, un po’ di quadri a tema patriottico (alcuni dei quali mi hanno ricordato il milanese Museo del Risorgimento), una collezione di bandiere con le classiche tredici strisce e un numero di stelle variabili, George Washington ritratto in tutte le pose e un po’ di memorabilia dei Sons of the Revolution, proprietari del palazzo dal lontano 1904. In realtà l’edificio – di piccoli mattoni gialli importati dall’Olanda – fu fatto costruire nel 1719 dall’ugonotto Etienne DeLancey, genero di Stephen van Cortlandt, sindaco di New York. Gli eredi vendettero la casa a un tale Samuel Fraunces, che ne fece una taverna (donde il nome) inizialmente chiamata Queen’s Head (Testa di regina). Come accadeva all’epoca, la taverna divenne presto un centro di aggregazione culturale e politico. Vi si riuniva, tra l’altro, una società segreta, i Sons of Liberty, che organizzò un Tea Party simile a quello, ben più famoso, avvenuto a Boston. Nella Fraunces Tavern, George Washington (di cui è conservata una ciocca di capelli) partecipò, il 4 dicembre 1783 (una decina di giorni dopo che gli inglesi avevano lasciato New York sotto l’incalzare dei patrioti americani), a una memorabile cena con i suoi ufficiali. La sua intenzione era, a guerra ormai vinta, quella di ritirarsi a vita privata nella sua casetta di Mount Vernon, quindi la serata fu una serie di virili strette di mano e commoventi discorsi di addio, culminati nella famosa frase Col cuore pieno d’amore e gratitudine, prendo congedo da voi. Il mio più devoto desiderio è che i vostri prossimi giorni siano tanto felici e prosperosi, quanto i precedenti sono stati gloriosi e onorevoli. Washington sarebbe tornato attivamente sulla scena prima nel 1787 (a capo della Convenzione Costituzionale) e poi nel 1789 (come primo Presidente degli Stati Uniti). La sala dove avvenne il discorso d’addio (in realtà, come abbiamo visto, un arrivederci), la Long Room, con la tavola apparecchiata come se dovessero entrare da un momento all’altro un po’ di maschi imparruccati, è chiusa al pubblico e non può essere fotografata.

Un insolito itinerario culturale, attenti solo a non fare indigestione di patriottismo a stelle e strisce.


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