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Posted by on domenica, Novembre 19, 2017 in Racconti |

Lettera di un’insegnante di acquerello

Cara Ilaria, è meglio se ti stampi questa mail e te la rileggi, come si faceva in altri tempi con le lettere. Non sia mai che un click, inavvertito e impietoso, la cancelli, anche solo per sbaglio. Ti servirà a fare luce nei momenti bui, e dall’ultimo tuo pianto disperato al telefono ho paura che ce ne saranno tanti. Se Giancarlo voleva farsi mollare da te, l’ha fatto nel modo più crudele, facendosi trovare nel vostro letto con una biondina scialba, che ti ha scoccato un’occhiata di disprezzo prima di rivestirsi con calma e lasciarvi soli. Lo so che sei persa e affranta, ma il tuo è un copione già visto tante volte. Giancarlo non poteva essere l’uomo giusto per te, non può esserlo per nessuna. Farà la stessa cosa, prima o poi, alla biondina con lo sguardo sprezzante. Quelli come lui, quando vogliono staccarsi da una donna, cominciano a non farsi trovare, a dimenticare di chiamare o mandare un messaggio per tutto il giorno. Ti fanno stare l’anima appesa, e si divertono a guardare di lontano questa impietosa impiccagione.

Parliamo di Giancarlo. Giancarlo, che non perdeva una domenica di bungee jumping, perché, come avevi detto tu, “quando ne parla s’illumina tutto”. E tu t’illuminavi del suo sguardo, mentre guardavi le foto che postava su Facebook o Instagram. Lui, solo lui. Ripreso in tutte le fasi del salto, colto nell’attimo in cui si lanciava, adulato da tutti i suoi amici, i colleghi di lavoro, i parenti. Eppure tu non sei da meno. Tre lingue parlate e scritte perfettamente, un ottimo lavoro, la passione del mare e degli acquerelli, ma non hai capito con chi avevi a che fare. Ti sei fatta intrappolare dalla sua aria sicura, dal suo sorriso di eterno ragazzino in cerca di affetto, dalle sue ritualità esasperate quando doveva affrontare il salto. Non hai mai capito che il salto nel vuoto lui lo faceva perché, per prima cosa, il vuoto lui lo aveva dentro, e non sapeva come dirlo nemmeno a sé stesso. Per un po’ sei andata bene, eri la novità adorante dei suoi mirabolanti racconti. Gli piacevano i tuoi occhi stellati, il tuo viso di ragazza bruna acqua e sapone. Servivi come schermo su cui proiettare il suo ego smisurato. Quando avete cominciato a vivere insieme, ho visto lo strappo. Ti incrociavo al supermercato, o per strada, e quando ci salutavamo avevi sempre lo sguardo sfuggente e il sorriso tirato. Quando ti concedevi la mia ora di lezione, i tuoi acquerelli, come il tuo volto, avevano perso la luminosità. E quando siete venuti a saldare le ultime lezioni del corso, ho visto le vene del tuo collo tese. Non volevi lasciare la pittura, ma lui lo esigeva, per importi il suo volere una volta di più.

“Non avrò più tempo di venire da te, Veronica,” mi avevi detto con voce sommessa, “ora mi devo occupare di Giancarlo.”

Per fortuna la casa era tua, e lui ora ha dovuto slogggiare. Dovrai affrontare serate buie, piene di rancori e rimpianti, attese vane e soprattutto ricordi. Ricorderai tutte le frasi piene di velenoso disprezzo che lui ti lanciava, ma tu non dare voce a quei suoi commenti beffardi. Risali la china, chiudi gli occhi e ascolta il tuo respiro. E, mentre ti fai attraversare dal dolore, canta le ninnananne che ascoltavi da bambina. Piangi tutte le tue lacrime, fiduciosa che un giorno spunterà una gioia, come una violertta primaverile. Allora comincerai la vera risalita, perché avrai imparato a non farti più calpestare da un uomo. Il tuo sorriso avrà la luce smagliante del migliore acquerello che hai mai dipinto. Io sarò qui ad aspettarti, per una lezione, una tazza di tè, o solo per ridere insieme.

La tua amica Veronica

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