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Posted by on domenica, Maggio 30, 2021 in Midrash |

Omaggio a Bob Dylan – Desolation Row (nona strofa)

Coraggio, siamo quasi alla fine! Penultima strofa della leggendaria Desolation Row di Bob Dylan, pignolamente commentata da Giorgio Guelmani. 

1   Praise be to Nero’s Neptune
The Titanic sails at dawn
And everybody’s shouting
“Which Side Are You On?”
5   And Ezra Pound and T.S.Eliot
Fighting in the captain’s tower
While calypso singers laugh at them
And fishermen hold flowers
Between the windows of the sea
10  Where lovely mermaids flow
And nobody has to think too much
About Desolation Row

1-2. Sia lode al Nettuno di Nerone, il Titanic salpa all’alba.  Curiosamente, la versione italiana di De André (DADG) inverte l’ordine delle strofe mettendo questa prima, e non dopo, l’ottava (che abbiamo esaminato nel post precedente). Scelta che, a mio parere, depotenzia l’impianto complessivo della canzone e il suo crescendo di disastri. Non a caso, la Revisione De Gregori (RDG) rimette le cose a posto. Nerone è, ovviamente, il quinto imperatore romano (37-68). Non è molto chiaro chi sia “il Nettuno di Nerone”, tanto che la DADG e la RDG rimuovono il problema interpretativo eliminando Nerone (traducendo rispettivamente E bravo nettuno mattacchione Sia lode a Nettuno imperatore). “Il Nettuno” potrebbe essere la polena della nave, “il Nettuno di Nerone” vorrebbe dire che la nave appartiene a Nerone, cioè a un potere folle e incontrollabile, mutevole come il mare.  Wikipedia informa che una delle opere pubbliche completate da Nerone fu Portus Augustus (nell’attuale comune di Fiumicino). Un sesterzio dell’epoca ci mostra da un lato la testa di Nerone cinta di lauri, dall’altro sette navi e un faro sormontato da una statua di Nettuno (ecco un possibile legame!). Il porto era molto esposto alle tempeste, e già nel 62 – riporta Tacito – affondarono 200 navi in una volta. Si spiegherebbe, quindi, perché l’immagine di Nettuno richiami quella del Titanic, il ben noto transatlantico britannico che, durante il viaggio inaugurale da Southampton a New York, entrò in collisione con un iceberg a mezzanotte del 14 aprile 1912 e s’inabissò causando la morte di 1.518 persone. Inutile ricordare la potenza simbolica del disastro del Titanic, assurto nell’immaginario collettivo a simbolo della hubris umana punita dal Destino, della fine della belle époque e della prima globalizzazione e così via. Superfluo elencarne le trasfigurazioni artistiche, da Enzensberger a De Gregori (arieccolo!) a James Cameron. Ricordiamo solo che Dylan scriveva nel 1965 e non aveva in mente nessuna di queste rivisitazioni del Mito, apparse dopo. Piuttosto, è probabile che avesse negli occhi i più recenti prodotti cinematografici ispirati alla tragedia: il melodramma Titanic (1953) di Jean Negulesco (con Barbara Stanwyck e Clifton Webb), o il più accurato A Night to Remember (1958), del regista inglese Roy Ward Baker. Sia come sia, la parola “Titanic” fa subito pensare a un disastro annunciato, anche se non è chiaro chi stia salpando a bordo. Forse (come suggerirebbero gli ultimi due versi) gente che vuol fuggire dal Vicolo della Desolazione e dalla sua realtà dura e spietata, cercando un’America oltre l’America. Forse profughi pronti a rischiare la morte in mare pur di lasciare fame, guerre e torture.

3-4. E tutti quanti gridano “Da Che Parte Stai?” Anche qui ci sono varie possibili interpretazioni. Chi sono i “tutti quanti” che gridano “Da che parte stai”?. Potrebbero essere i residenti del Vicolo della Desolazione, che vedono salpare la nave dei fuggitivi, e chiedono loro di prendere posizione, invece di scappare (non dimentichiamo che, nella strofa precedente, c’è stata una retata ai danni dei dissidenti). O potrebbero essere i passeggeri del Titanic, in riferimento alla lotta tra Pound ed Eliot (di cui al verso 5). Per una traduzione consapevole occorre soffermarsi su questo grido Da Che Parte Stai? – tutto con iniziali maiuscole nel testo. Non si tratta di un generico invito a schierarsi, ma è il titolo di una famosissima canzone (Which Side Are You On, appunto), che per la sinistra sociale americana è un marchio identitario, un misto tra Bella Ciao Sebben che siamo donne. Fu scritta nel 1931 – sull’aria di un inno battista “Lay the Lily Low” – da Florence Reece, moglie di un minatore di Harlan County (Kentucky) e attivista sindacale. Era in corso una durissima vertenza – con caratteri di vera e propria guerra civile –  durante la quale le autorità locali (con in prima fila lo sceriffo J.H.Blair) erano smaccatamente dalla parte dei proprietari delle miniere. La canzone fu scritta a caldo, sul retro del calendario che stava in cucina, proprio dopo un’irruzione intimidatoria e illegale degli uomini dello sceriffo in casa Reece. Le parole della canzone rendono l’idea di una lotta dura, senza la possibilità di “zoppicare dai due lati” (cfr I Re 18:21): Dicono che a Harlan County non ci sono neutrali / o sei un uomo del sindacato o sei uno scagnozzo di J.H.Blair. La citazione della canzone è particolarmente significativa in Desolation Row, dove Dylan (come vedremo anche nell’ultima strofa) mostra un rapporto conflittuale con la sinistra americana di cui era una delle voci di punta.

5-6. Ed Ezra Pound e T.S.Eliot lottano nella torre del capitano.  L’accostamento tra Pound (1885-1972) ed Eliot (1888-1965) non è bizzarro o anacronistico come altri nelle strofe precedenti (Romeo e Cenerentola, Casanova e il Fantasma dell’Opera): i due (entrambi nati negli USA, li abbandonarono a favore rispettivamente di Gran Bretagna e Italia) si conoscevano, si frequentavano, si stimavano (Eliot dedicò il poema The Waste Land a Pound, che l’aveva aiutato nell’editing, chiamandolo – in italiano, con reminiscenza dantesca –il miglior fabbro). Ebbero traiettorie politiche divergenti: Pound, ispirato da un confuso anticapitalismo che ricorda certi “sovranisti” odierni e ossessionato dall’”usura”, aderì al nazifascismo, compromettendosi con scritti e trasmissioni radio, tanto da essere imprigionato alla fine della guerra. Eliot divenne un tranquillo conservatore all’inglese (famosa la sua autodefinizione del 1929 come classicista in letteratura, monarchico in politica e anglocattolico in religione). Entrambi, in modo diverso, erano antisemiti. L’antisemitismo di Pound è quello di Hitler e dei Protocolli dei Savi di Sion, secondo cui gli ebrei dominano e corrompono il mondo con la potenza del denaro. L’antisemitismo di Eliot – che si manifesta in poesie degli anni Venti, come Gerontion Burbank with a Baedeker, dove gli ebrei sono paragonati indirettamente a ratti (The rats are underneath the piles. / The jew is underneath the lot. / Money in furs), o etichettati come avidi proprietari immobiliari, è più stereotipato e moderato. Bisogna ricordare che – prima della Shoah – nella buona società borghese e “cristiana” una modica quantità di antisemitismo era considerata tollerabile. Più inquietante, semmai, è che in una conferenza tenuta all’Università della Virginia nel 1933 (quando Hitler era già al potere in Germania), Eliot abbia sostenuto che, per la stabilità sociale, What is still more important is unity of religious background, and reasons of race and religion combine to make any large number of free-thinking Jews undesirable (pubblicato nella raccolta di scritti del 1934 After Strange Gods: A Primer of Modern Heresy). Sembra che, a proposito, Bob Dylan abbia dichiarato: Quello che so di Ezra Pound è che aveva simpatizzato per i nazisti durante la seconda guerra mondiale e che aveva fatto trasmissioni antiamericane alla radio italiana, quel che basta per mandarlo affanculo. Non l’avevo mai letto, mentre mi piaceva quel tanto che appena basta, Thomas Eliot, lui sì che si poteva leggere. Molti commentatori, del resto, si sono esercitati a rintracciare citazioni e rimandi di The Waste Land in Desolation Row. Eliot e Pound rappresentano, comunque, due destre distinte e contrapposte. In lotta tra loro, lotta vera, non simulata o per finta (DADG traduce fanno a pugni nella torre di comando, stranamente RDG attenua l’effetto con un anodino discutono nella torre di comando). Due destre si combattono sanguinosamente, una tradizionalmente conservatrice, l’altra nazifascista: e la sinistra, dov’è? Due destre combattono per comandare una nave destinata a inabissarsi (è la nave del Sistema diretta verso la crisi, verso quella che Marx chiamava la rovina comune delle classi in lotta?): e la sinistra, dando per assodato che sia rappresentata da quelli che gridano Da che parte stai, che fa? Sta sulla nave, ridotta a parteggiare per uno dei due contendenti (“voto utile” pro Eliot, “tanto peggio tanto meglio” pro Pound, astensione) e incapace di esprimere un capitano proprio? O sta a terra, non coinvolta nel disastro del Sistema? Oppure Dylan scarta di lato e ci propone una terza via?

7-10. Mentre i cantanti di calypso li deridono, e i pescatori reggono fiori tra le finestre del mare, dove belle sirene galleggiano. Ecco, infatti, l’evocazione di un “nuovo soggetto politico” (e poetico): pescatori, cantanti di calypso, sirene. Con ogni evidenza, non fanno parte dell’equipaggio o dei viaggiatori del Titanic, ma neanche della fauna umana del Vicolo della Desolazione. Non sono personaggi storici o immaginari giunti lì per caso, né emarginati o freaks, né agenti della repressione. Pescatori e cantanti hanno, anzi, precise identità professionali: lavoratori che sudano per procurarsi – e procurare agli altri – il cibo e il piacere artistico. I pescatori possono ricordare i primi cristiani. Il calypso, musica afro-caraibica nata a Trinidad, da sempre con forte connotazione politica e popolare, è stato portato al successo commerciale da Harry Belafonte, militante del movimento per i diritti civili e ben conosciuto da Dylan. Secondo un commentatore, pescatori e cantanti di calypso rappresentano “gli umili e i disprezzati della terra (…) gli unici che sanno veramente cosa sta succedendo, che sono in grado di vedere ed esprimere la bellezza”, ciò che i Poeti Laureati – persi nelle loro lotte di potere – non sono capaci di fare. Il suggerimento di Dylan sarebbe, perciò, cambiare il mondo senza prendere il potere (come recitava il titolo di un libro di Fred Halliday, filosofo filo-zapatista di una quindicina di anni fa). Fiori e sirene rappresenterebbero la bellezza della natura, l’unica cosa che val la pena di cantare e perseguire. Accenti molti simili si trovano in Lay down your weary tune, canzone dylaniana del 1963 dove viene ripetuto l’invito a posare gli affanni e le preoccupazioni e abbandonarsi alla contemplazione della natura e al ritmo della musica. Per questo cantanti e pescatori possono permettersi di deridere l’equipaggio del Titanic e il suo inutile agitarsi nel correre verso la rovina.

11-12. E nessuno deve pensare molto al Vicolo della Desolazione. Sviluppo coerente dell’interpretazione degli ultimi versi: facciamo il nostro lavoro, viviamo in armonia con la natura e con l’arte, pensiamo solo ai piaceri semplici. Forse è questa la via d’uscita dal Vicolo della Desolazione, che nelle prime strofe sembrava un simpatico rifugio per fricchettoni e progressivamente si è rivelato una distopia poliziesca. E che il Titanic se ne vada ad affondare per conto proprio, con Pound, Eliot e compagnia cantante.

Ora, per permetterci di riflettere meglio, e segnare una netta cesura con la strofa finale, Dylan piazza un bell’assolo di armonica. Alla prossima!


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