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Posted by on domenica, Marzo 17, 2019 in Racconti |

Stagioni – Autunno

Quarto e ultimo racconto della serie dedicata alle stagioni da Carla Manci, dello storico gruppo di scrittura La Pluma. I precedenti sono stati pubblicati il 17 febbraio (Inverno), il 24 febbraio (Primavera) e il 3 marzo (Estate). Buona lettura!

Autunno

Arriverò dal mare su una macchina volante come un pirata del tempo, guarda si sta alzando il vento. No, non conosco la direzione, sono uno strano viaggiatore posso solo risplendere per farti luce evitando di prendere fuoco. Tu contienimi, rimani acqua intorno a me, con il suo scendere e salire mi aiuterai a respirare. Così quando dovrò correre a perdifiato avrò pieni i polmoni e ricolmo il cuore di qualcosa che fino ad allora non avrò mai chiamato ma era il futuro, ed era magnifico.

Dopo che sarai arrivata saprai restare? Saprai guardare il vento tra i capelli senza volerlo toccare?  Rimarrai a debita distanza accettando che non bisogna fondere due luci per farne una. Ho sonno, sono stanca, non chiedere parole che non ho voglia di dire. Quante cose ancora da capire perché capire è la colla che ci tiene vicine. Ben venga un mare indifferente davanti agli eccessi del cuore, ben venga un mare che ci bagna senza restare che un attimo. Vederlo tornare dentro sé, restituirci altro. Il vento si posa nel sole del mattino, torna la calma.

Nel frattempo, il tempo del viaggio, ti manderò cartoline dai paesaggi della mia anima non avendo altro modo di portarti con me. Quantomeno, saprai sempre dove sono. E in qualunque abisso mi trovi, a qualsiasi rimorso o rimpianto appeso, mentre scalo le vette del destino basterà un telegramma per informarmi del tuo arrivo. Io sarò li.

Sarai l’aviatore che sorvola le guglie, sarai sotto nuvole candide. Degli abissi che sfiori saprai dare precisa descrizione e sarà fatta con parole insolite, smuoverà l’immagine nel registro della mente,  sveglierà la fantasia di luoghi mai visti ma di cui per mistero conosciamo tutto. Se alzo gli occhi al cielo o li abbasso sulle mie dita non vedo rimorsi o rimpianti, non più. Forse prima o poi arrivo.

Se non verrai, se non verrai non mi fermerò a contare i vagoni, le nuvole, le onde, viaggerò lo stesso. Conosco le stelle e i cicli delle maree. Se non entrassi, se non entrassi non riterrò perdute le chiavi che ho lasciato sotto lo zerbino, spero non le trovi un ladro o un assassino. Ma se verrai, se tu verrai troverai ogni cosa dove tu sai ed io non dovrei più partire perché sarebbe come tornare a casa.

Che peso ha la mia volontà? Il nostro è un vagare di onde che vanno ognuna nella propria direzione ma tu prova a stringermi lo stesso anche se mi difendono sbavature di ghiaccio, anche se sembrerà uno scontro il nostro più che un incontro. C’è strada davanti a me, questo è l’importante. Le tue chiavi le ho qui tra le mie dita, le userò quando il vento è propizio altrimenti non riesco a volare fino a te. La mia timidezza sfiora tutto ciò di cui conosco il posto. Non hai toccato niente, lo so. Perché così ti potrò ritrovare in ogni cosa che abbiamo guardato assieme. Vieni con me quando dovrò ripartire, fammi compagnia nelle mattine nebbiose. Così saremo sempre a casa.

Il vento? Sentissi come soffia in questo momento, impietoso e avido come un inquisitore, mi sta spogliando come questi pochi alberi di tutte le inutili parole che riesco sempre a dire. Io sto qui inerme, sotto i suoi colpi feroci, vuole che ammetta che non sono un eroe che non c’è niente di divino in me solo carne e vertigine.

Ti scuote il vento, ti percuote come un amante tradito vuole la verità e insieme non la vuole sentire. Apri il recinto, lascia fuggire il bestiame, che ci resti dentro la terra smossa, che ci resti il letame. Sui capelli ti piove un’acqua acida, un’acqua fredda e con il freddo senti di nuovo la differenza. La pelle freme. Ha bisogno di dei e d’eroi. Della somiglianza si nutre e si fa grande nel suo piccolo. E nel suo piccolo al pari diventa feroce poi… poi fugge via.


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