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Posted by on domenica, Febbraio 17, 2019 in Racconti |

Stagioni – Inverno

Continuiamo a ospitare nel blog i contributi delle amiche dello storico gruppo di scrittura La Pluma. Carla Manci ci propone una serie di brevi racconti, ognuno dedicato ad una stagione. Buona lettura!

Inverno

Alcuni cuori, il mio cuore, è una conchiglia. Ma solo se appoggiato ad alcune anime e alcune soltanto, io sento il mare e posso viaggiare. Per poi raccontare storie di nebbie, vuoti e abissi che casualmente incontro e poi passo una vita a cercare d’incontrare di nuovo, invano. Sono anime speciali quelle che si perdono, se no non ci sentirei il mare. Ma io so soltanto navigare. Di tutto il resto poco m’importa, lo posso comprare, fabbricare, inventare.

 

Il mare no, come l’anima, è l’unica cosa che si da sola, quando vuole. Anche il cuore, ma lui si rompe, si gonfia, scoppia, trema. La testa mormora, brontola, grida. Il corpo vuole, reclama, scalpita. Per questo prediligo l’anima. È l’unica cosa che può farti stare immobile sull’orlo di un baratro senza paura di cadere. L’anima non esita, non vacilla, sussurra. Regala una fierezza e una forza che null’altro può dare. La mia anima spesso mi lascia perché è facile ad offendersi. Ma quando mi abita fa del mio cuore una conchiglia e posso sentire e sapere all’unisono.

 

Da tempo ho rinunciato a trovarle un compagno, a volte spontaneamente lei si accompagna perché sente il mare. E allora, allora soltanto non mi sento solo. E me ne vado in giro per il mondo ascoltando, predando appunti, a tracciare rotte per il prossimo ritorno perché già so che presto si perderà di nuovo. La vita offende l’anima ogni giorno. Ma i giorni con l’anima rendono sopportabile la vita. Senza ordini di nessuno sono sopravvissuto dove altri non hanno saputo. Ho resistito a condizioni estreme. Questo ha fatto di me un marinaio. Questo ha fatto del mio cuore una conchiglia. Devo appoggiarlo alla tua anima per sentire.

 

Tu sei la mia marea. Persa come pagine slegate dal vento che gioca. È il destino che ride, è il destino che si diverte. Resta a bocca aperta, lungamente, come un bambino che crea dispetti. Sono gli scherzi del destino che risvegliano la memoria. Sono due soli giorni lontani che bastano per cedere. Così tingo il vestito e lo indosso fingendo che sia un’altra cosa. Il destino, lui ride. Come un bambino è felice. Come un bambino non conosce se stesso, semplicemente accade. Come tu non sai quanto assomigli all’abisso che una volta mi ha già inghiottito.

 

Ora il cielo è beffardo, vedi? Fa i suoi commenti e devi guardarlo bene per capire che parla con te, perché magari pensi parli col tuo vicino e perdi qualche precisazione sui fatti accaduti. Se tu fossi rimasta un po’ di meno al limite della scogliera avresti cancellato la paura dai sorrisi che escono asimmetrici dallo sforzo dei muscoli sul tuo viso. Chi ti conosce bene lo vede che non sorridi. Se tu fossi rimasta un po’ di più sull’orlo del precipizio avresti visto che in fondo non è così terribile il vuoto che c’è sotto, il tempo l’ha riempito di terra e alberi, di funghi e muschi. Se tu fossi rimasta il tempo giusto, quello che era stato deciso dalla tua vita stessa, avresti fatto pace col dolore, con l’amore e li avresti presi a braccetto entrambi come vecchi amici. Sareste andati in buona compagnia a bere qualcosa. Non piangere, non maledire né questo né quello, non spengere, non infiammare. Parla con me… il giorno viene.

 

Poi un altro giorno, uno dopo l’altro, come una collana di perle, magnifiche, che non posso indossare. Che ne posso fare di tutte queste perle che solitarie s’induriscono nei miei giorni,

intorno alla mia gola che respira. Parla con me, raccontami ogni cosa, terrò tutto in uno scrigno,

come le più preziose delle gemme. Mio sconosciuto tesoro, ti ho trovato, non ti posso aprire, non posso forzare, non sono un pirata, solo un marinaio. Me ne sto qui, sulla mia barca rovesciata, inaspettatamente, tranquillamente, come avessi sempre saputo che doveva andare così. Non ho paura, non ho ansia, guardo il cielo, lui mi parla dell’abisso, delle perle che vi ho già perduto. Accosto la conchiglia, da lontano, molta acqua verrà dai ghiacciai del cuore che si sciolgono in un canto muto. Parla con me.

 

Come passi le giornate? Guarda l’orizzonte accanto alla mia barca rovesciata, anche lui è fermo, terso, è già inverno. Alzo il bavero della giacca e mi pulisco le unghie con un pezzo di mare. Quel mare che ci chiama ma non vogliamo rispondere, quel mare che ci vuole, a cui ci neghiamo. Non sopportiamo più la paura di non avere remi, non ci lasceremmo mai portare dove lui vuole. Eppure guarda, il mare ci ha regalato quelle perle che sul filo ci fanno soffocare, forse non ha calcolato bene la misura del collo, ma si sa, è maldestro il mare.
Dimmi, come resisti all’onda che ti strappa l’anima? Racconto le mie favole a te che te ne stai seduta tra le tue nostalgie, che tremi di caldo e di solitudini, solo perché so che ogni mia parola è una mano tesa. Lontana. Poi mi dici che porrai rimedio, rimedio a ogni cosa. Ne sono lieto. Come pensi di porre rimedio a tutto questo mare? Davvero credi basti qualche giorno di bassa marea, questi finti divieti? È già passato il momento in cui me ne potevo andare, in cui mi potevo salvare. Non ho voluto. Ho scelto di rimanere per il tuo canto muto. Perché diversamente mi sentivo già perduto e intorno a te ho visto scendere il buio. Come sarei potuto partire?

 

Mio padre era un marinaio, mia madre una sirena. Sono un bastardo del mare, anche io so cantare. Dentro. Perché me ne sarei dovuto andare da un posto in cui mi sento così perfettamente amato. Tu chiamalo bene se fa meno male, passami la conchiglia, lasciami annegare. Davanti a questo vento impazzito mi ripiego come una bandiera. Forse il momento perfetto per partire insieme è andato perduto. Per ora. Ma io mi fido dell’istinto e del coraggio delle onde. Molte cose succederanno. Non andare a cercare rimedi per questa mia vita da spiaggia. Sono stanco, voglio riposare accanto a te, alla mia barca rovesciata. L’ho rovesciata di proposito. Ero venuto per andarmene e invece guarda, mi sono fermato qui, per te. È già inverno. Se avremo freddo legna ne ho, ci scalderà entrambi.


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