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Posted by on domenica, Gennaio 14, 2018 in Wurstel |

Werner Fugazza e il ritorno alla natura

L’autunno aveva messo a dura prova Werner Fugazza. In ufficio, il nuovo capo del personale aveva deciso di marcare il territorio facendo spostare tutti gli armadi e introducendo l’avveniristico Modello Filiale 2.0, che dopo oltre due mesi non aveva ancora rivelato uno solo dei promessi pregi (ma aveva palesato centinaia di imprevisti difetti). Oltretutto, la riorganizzazione dei Team lavorativi aveva tolto a Werner tutti gli abituali compagni di chiacchiere, con cui parlava tutto il giorno di Calcio, Donne e Cronaca Nera, sostituendoli con due specialisti di non si sa che in giacca e cravatta, che passavano la giornata a discorrere di Bitcoin. Giunte le ferie lunghe di Natale (quindici giorni fino all’Epifania) Werner decise di accettare, per una volta, l’invito della vecchia zia Elpidia Scaccabarozzi, nota in tutto il clan per le sue inarrivabili Torte al Rabarbaro Muschiato, che risiedeva in campagna, a Mascherpa Valgerola, ai piedi delle Orobie. I patti erano chiari: fornitura illimitata di manicaretti in cambio di disponibilità totale al lavoro in fattoria. Infatti la zia (che sarebbe stato più esatto definire probiscugina di sesto grado), ultima discendente di Wotan Fugazza, (leggendario guerriero vichingo stufo di ghiacci e saccheggi, stabilitosi nelle Orobie fin dal Medioevo), aveva una piccola quanto fiorente azienda agricola. Werner accettò il patto e per quindici giorni tutto andò liscio. Giornate di sana fatica a nutrire animali, spalare paglia, spazzare letame, riscattate da ottime cene ipercaloriche. Ma l’ultimo giorno successe qualcosa di imprevisto. Dapprima Federico, il patriarca della piccola comunità di tacchini della fattoria, appena vide Werner lo accolse non con l’abituale gluglu ma con un ringhio da ghepardo idrofobo. Poi gli saltò addosso e cercò di abusare di lui col becco. Werner sfuggì all’assalto sessuale e si diresse verso Filippa, la tranquilla ovaiola. Questa, infuriatasi come un toro alla vista del maglione rosso di Werner, lo accolse schiumando rabbia come un’epilettica. Infine Cannolo, il tenero e batuffoloso coniglietto, disdegnò le carote e puntò alla gola di Werner, il quale, scansatosi goffamente, riuscì a farsi addentare alla spalla sinistra. Non aspettò ulteriori incidenti con gli animali da cortile: fuggì ululando, recuperò in fretta i propri effetti personali, senza salutare la zia e senza prendere il cesto di specialità valgeroliane che lei gli aveva premurosamente preparato, e tornò a Milano con la prima corriera disponibile. Il giorno dopo, raccontò in ufficio la sua disavventura, senza trovare più che una generica solidarietà. Alcune colleghe rimasero schifate alla vista della cicatrice sulla sua spalla sinistra, gli specialisti si chiesero se l’incidente avrebbe influenzato la quotazione del petrolio saudita.

Rientrato a casa, Werner incontrò in ascensore l’architetto Scannabue, suo vicino di pianerottolo, e ovviamente gli raccontò tutto quello che era accaduto. Scannabue ascoltò, empatizzò, deplorò, e soprattutto lo fece entrare in casa sua per offrirgli un bicchierino. Mentre Werner sedeva in salotto, Scannabue gli fece ripetere la sua disavventura per filo e per segno, e alla fine gli offrì una pomata verde, la quale, promise, in pochi giorni gli avrebbe guarito completamente tutte le cicatrici fisiche (e così fu: per quelle psicologiche, è un altro paio di maniche). Werner ringraziò calorosamente, promettendo a Scannabue, alla prossima occasione, una generosa fornitura di ricotta d’alpe.

L’architetto Scannabue si congedò da Werner, chiuse la porta a quattro mandate e tornò, pensieroso, in camera propria. Tirò fuori l’ansible per comunicare col pianeta Boote Nekkar Epsilon. Sullo schermo comparve un pitbull verde, in divisa militare. “Buon solstizio, Feldcaporale Bukk,” disse Scannabue senza troppi preamboli, “ascolti la testimonianza di questo terrestre.”

E sullo schermo partirono le immagini di Werner Fugazza, quando pochi minuti prima aveva raccontato in dettaglio gli attacchi subiti dal tacchino Federico, dall’ovaiola Filippa e dal coniglietto Cannolo. Bukk aggrottò tutto l’aggrottabile, e disse con gelida calma:

“Ci stanno riprovando. Ributtanti Furetti di Aldebaran, che un asteroide li polverizzi! Rivolta delle specie animali subordinate contro la specie indigena dominante, cominciò così nove eoni fa, su Deneb 75bis. E sappiamo com’è finita.”

“Non possiamo più permetterci una soluzione del genere, Feldcaporale,” ribatté Scannabue, “le norme contabili dell’Unione Transagalttica si sono fatte più stringenti. Non potremo più nascondere l’annichilimento di un pianeta abitato da vita (più o meno) intelligente nelle pieghe del bilancio come si fece allora. Però il folle Nugnoymik” – e la sua voce tremò nel pronunciare il temutissimo nome del Sommo Furetto – ha passato una linea rossa, e non possiamo permettere che se la cavi a buon mercato!”

“Ho già una soluzione in mente, agente Phi Beta Iota. Un segnale che gli odiosi Furetti – che l’anello di Saturno gli si infili in quel posticino – coglieranno sicuramente. Si fidi, e legga attentamente le notizie nei prossimi giorni.”

E, come di consueto, si congedarono patriotticamente, al canto dell’inno di Boote e al grido di Sempre viva la FIGA (Forza d’Infiltrazione Galattico Autocefala)!

Pochi giorni dopo, l’architetto Scannabue lesse in un trafiletto del Corriere che Saseushito Ono, sottosegretario alla Marina Mercantile del governo giapponese (e noto agente umanoformato dei micragnosi Furetti di Aldebaran) era stato orrendamente mutilato dal proprio adorato e vezzoso barboncino bianco. Capì allora che il segnale era stato lanciato e che – almeno per quel secolo – la guerra totale tra Boote e Aldebaran non ci sarebbe stata.


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