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Posted by on martedì, Novembre 28, 2017 in Arti Marziali |

Lettera di una senpai

Carissima Chiara, non ho parole per esprimere quello che ho provato ieri sera. I tuoi sospiri inconsulti e irrefrenabili mi hanno colpita al cuore. Ho sentito una mano che stringeva forte, proprio in mezzo al petto, e ho provato anch’io le stesse angosce di dieci anni fa. Ma, con il senno di poi, e con la freddezza che stamattina, dopo una tazza di caffè, ho ritrovato, ti chiedo: “Come hai fatto a cascarci?”. Eppure sei un’ottima aikidoka, sei alle soglie della cintura nera. Dovresti sapere che opporre resistenza in un kotegaeshi significa farsi male. Bisogna assecondare l’avversario, scendere magari sino a terra insieme a lui, trovare il momento giusto, poi, per entrare senza forzare le cose.  Ma nella vita è lo stesso. Avevo capito subito che tipo era questa Antonella, quando siete venute a cena da me, due mesi fa. Ricordi? Mario era via per lavoro, e io avevo invitato te e Claudio, ma tu hai insistito tanto che venisse anche Antonella. “E’ una ragazza fantastica, devi conoscerla.”. Visto, poi, che avevate programmato di uscire tutti e tre insieme, io ho invitato anche lei, per non rompere l’idillico quadretto. Settembre è stato molto caldo, quest’anno, avevamo ancora i vestiti leggeri e i colori della pelle scuriti dal sole estivo. Istintivamente non mi era piaciuta, questa Antonella: magra, nervosa, lo sguardo spiritato. Mi aveva fatto un mezzo sorriso con le sue labbra sottilissime, e io mi sono ricordata improvvisamente di mia madre, e delle sue arcaiche teorie sulla cattiveria delle donne dalle labbra come un filo. A tavola, poi, ho colto con la coda dell’occhio un suo sguardo morbido verso Claudio, il tuo Claudio, mentre fingevo di rimescolare l’insalata. Non mi era piaciuto quel suo sguardo di sottecchi “cena fredda per un’ospite imprevista, gelida come la punta di un diamante”. Ti confesso che avevo pensato questo. Poi, ieri sera, sei venuta da me sconvolta, perché avevi suonato alla porta dell’appartamento di Claudio, l’avevi trovata aperta (era lei che l’aveva fatto apposta per te), e li avevi colti sul fatto. Non ti ho riconosciuto più, non eri la Chiara calma ed equilibrata che seguo come senpai da cinque anni. Al suo posto c’era una bambina, urlante rabbia e dolore, sulle macerie di un terremoto. Devi sapere, figlia mia (sei una figlia putativa per me, madre di due maschi), che mi è successa la stessa cosa circa dieci anni fa. I ragazzi erano partiti in campeggio con gli scout, io avevo lasciato Roma per andare a Santa Marinella da mia cugina, ma un guasto idrico nel suo appartamento al mare mi aveva fatto tornare a casa. La porta non era stata lasciata aperta, ma io avevo le chiavi e, visto che era quasi mezzanotte, ho aperto con cautela per non svegliare Mario. Li ho trovati addormentati nel nostro letto, e ho provato la stessa morsa dolorosa al plesso solare. Non ho gridato, il dolore e la rabbia mi hanno riempito la superficie del corpo di goccioline di sudore freddo. Ma un profondo respiro mi ha dato la forza di andare nel mio studio, togliermi i sandali, afferrare la Polaroid e tornare in camera da letto. Ho acceso la luce dell’abat-jour e ho scattato le foto della mia antica rivale – di cui non voglio fare nemmeno il nome – a letto con mio marito. Ho mantenuto la calma, per assecondare dolcemente le cose. Qualche giorno dopo, il marito di lei si è visto recapitare le foto con una lettera raccomandata, che aveva come mittente un negozio del centro. Ho avuto più fortuna di te: avevo le chiavi e la Polaroid. Ma tu saprai trovare il modo di perdonare la tua amica, e di sferrare, prima o poi, la mossa finale della tua vendetta. Non è un caso che tu sia in procinto di indossare l’hakama.

kotegaeshi


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