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Posted by on domenica, Ottobre 20, 2019 in Streghe |

Quando c’era Mal

Alla fine degli anni Sessanta entravo nell’adolescenza, ed ero una fan sfegatata di Mal dei Primitives. Sfegatata e certificata, con tanto di tessera del Fan Club (che aveva sede a Ventimiglia). Io e molte mie coetanee, non solo a Terni, eravamo tutte innamorate del bel cantante gallese, nato nel 1944 col nome di Paul Bradley in un villaggio dall’impronunciabile nome di Llanfrechta. Cantante (stile pop-yé-yé), irresistibile con quel suo accento italo-british, ma anche attore. Allora erano in voga i cosiddetti musicarelli, quel sottogenere tutto italiano di film che avevano come attore protagonista un famoso cantante e come colonna sonora il suo nuovo album da lanciare, pieni di giovanilismo innocente e caste trasgressioni. Il genere ebbe una sua preistoria negli anni Cinquanta con i “melodici” Claudio Villa e Luciano Tajoli, ma l’età dell’oro va dal 1960 al 1975, e annovera pietre miliari come Urlatori alla sbarra di Lucio Fulci (con Joe Sentieri, Mina e Celenatno) e Zingara di Mariano Laurenti (con Bobby Solo e Loretta Goggi).

Il mese scorso, prendendoci una pausa dalle abituali maratone di serie statunitensi su Netflix, io e mio marito ci siano rivisti (grazie YouTube!) due dei tre musicarelli interpretati da Mal nella sua carriera: Pensiero d’amore (1969) e Lacrime d’amore (1970). Il terzo, Amore formula 2 (1972) vede Mal nella parte di un corridore automobilistico che, dopo un incidente, si ricicla come cantante (il suo amico-rivale è il leggendario motocicilista Giacomo Agostini).

Nei due film che ho visto, che, come si capisce dai titoli, formano un’ideale unità narrativa, Mal interpreta Reg, un cantante (tanto per cambiare) inglese dalle misteriose origini che si stabilisce in Italia, trovando il successo come frontman di una band chiamata, guardacaso, i Primitives. I due film sono interpretati da una straordinaria batteria di caratteristi (Francsco Mulé, Carlo Delle Piane, Umberto d’Orsi, Ferruccio Amendola, Pippo Franco e perfino Paolo Bonacelli). I personaggi femminili sono i più convenzionali: in entrambe le storie il bellissimo Reg (Mal) è fidanzato con la dolce e casta biondina Paola (Silvia Dionisio), ma concupito da viziose mangiauomini: nel primo film una contessa bruna (Angela Luce), nel secondo una giornalista-avventuriera rossa di capelli (Gianna Serra). Mal, dalla faccia legnosa e dalla recitazione monocorde, è il peggior attore della compagnia. Come Clint Eastwood (di cui si diceva, decenni fa, che avesse solo due espressioni: senza cappello e col cappello), anche Mal, guardandolo col senno di poi, ha solo l’espressione con microfono e senza microfono. Notevole l’impassibilità con la quale si lascia sedurre dalle Dark Ladies e la scarsa convinzione con cui fa scenate di gelosia (che gli offrono comode scuse per gettarsi nelle braccia delle suddette Cattive) alla povera fidanzatina. Ma, con tutti i difetti, i tempi cinematografici funzionano benissimo, le battute sono apprezzabili, le storie hanno senso e coerenza (il secondo film, ambientato in parte a Londra, aggiunge una sottotrama con traffico di droga).

Che dire? Non erano film d’arte, né storie di grande impegno politico – sociale, ma era comunque un cinema di media fattura, fatto da buoni artigiani, che ci faceva passare novanta minuti di tranquillo disimpegno con le nostre canzoni preferite. La mia impressione è che oggi il cinema italiano sia molto peggiorato e praticamente impossibile da vedere. I prodotti d’intrattenimento sono degenerati in volgarità, le storie di critica sociale restano confinate negli schemi da camera “architetto di sinistra salottiera in crisi matrimoniale con casalinga isterica”. E i film con maggiori ambizioni di qualità risultano tremendamente noiosi (vedi Chiamami col mio nome di Guadagnino) o sconclusionati (indimenticabile la sequenza sul “coltello di Mazzini” in Noi credevamo di Martone). Normale che, non solo perché eravamo giovani, venga da sospirare e rimpiangere “quando c’era Mal”.


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