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Posted by on domenica, Febbraio 24, 2019 in Racconti |

Stagioni – Primavera

Continuiamo a ospitare nel blog i contributi delle amiche dello storico gruppo di scrittura La Pluma. Carla Manci ci propone il secondo racconto della sua serie dedicata alle stagioni (il primo, Inverno, pubblicato il 17 febbraio). Buona lettura!

Primavera

Che stupido, stavo guardando i miei libri e ne ho notati due o tre non perfettamente allineati. Erano spinti leggermente in avanti, con intenzione. E ho pensato fossi stata tu, per farmi un dispetto o per vedere quanto ci avrei messo ad accorgermene. Me ne sono accorto adesso. E ho riso molto di me e del fatto che faccia così fatica a infilarmi nel cervello qualcosa di diverso da te. Vaneggio, fisso il soffitto per ore come in un cinematografo incantato…

 

Certe sere vengo a prenderti con il cuore in mano come un mazzo di fiori e l’anima piegata sul braccio come un cappotto da mezza stagione. Dopo cena, indugio con finta galanteria sul tuo portone aspettando che l’aria si faccia fresca solo per poggiarti quell’anima sulle spalle e farti sentire che è su misura per te. Una volta una persona mi disse “l’amore non si prova, s’indossa direttamente e non sai mai come ti starà addosso”. Quanto è vero.

 

Ecco, sono il sarto di Panama, nascondo mille segreti sotto il cappello. Prendo le misure a gentiluomini di fortuna e carpisco loro informazioni. Sono una spia e tu un’avventuriera di passaggio che sta solo da una parte: la sua. Io prendo le misure, cerco la giusta distanza ma per quanto ci siano strappi dappertutto, sulla pelle, negli sguardi, le nostre anime restano cucite insieme. Chiudimi gli occhi, non posso guardare tutta questa tristezza.

 

Bisognerebbe spogliarsi dei sogni sempre sul far della primavera perché tutta quella bellezza li renderà insopportabili. Ma ho ancora qualche giorno, qualche scena da rivedere. Potessi fermarmi a quand’eri il mio ospite d’inverno, quando tutto era così furiosamente composto, misurato. Ogni giorno scendevi per pranzo e che gioia mangiare e bere insieme, oppure per l’ora del te, parlando di tutto tranne che di noi. Chiudimi gli occhi, non posso guardare.

 

Appoggerò le mie dita sui tuoi occhi per non farti vedere il lato scuro del futuro. La primavera ti farà dimenticare che i bordi delle nostre vite resteranno uniti per sempre. È così che vedrò il tuo domani anche quando non vorrei assistere a niente che non riguardi anche me. Avevo bisogno di sentire le tue risate, di voltarmi nel letto e sentire il tuo profumo. Tu che riaccendi la luce nell’inverno che finisce, che sei il lampionaio dei vicoli più stretti, tu l’amante insolita che bussa sul mio collo. Io sono un cinico, un egoista, uno che non crede alle parole. Allora se puoi incantami con altre cose… Aspetto fino alle sei.

 

Troppo presto, sai che non arrivo mai prima della mezzanotte. Sono il re dei vampiri e vedi, sto attraversando gli oceani del tempo per te, riavvolgendo le scene, la vita a riflettori spenti. La mia anima l’ho perduta per arrivare a te e ora del resto poco m’importa. Vago nella notte ma non cerco prede, non mangio più, non bevo più, mi sto lasciando morire, deliberatamente, perché non voglio esistere senza di te. Non più. Dovremmo essere felici, dovremmo essere fra amici.

 

Che ci facciamo qui sul ciglio di un perdono, davanti al plotone di un addio. Quante volte ci siamo detti addio, quante volte ci siamo perdonati. Che ci facciamo in un film di guerra, non siamo eroi. Ci sono molti inferni da superare e un solo improbabile paradiso che di certo non ci attende. Come si fa a restare così, con una lama nel cuore, senza morire. E giornate che si allungano solo per avere più tempo per soffrire. Chiudimi gli occhi, non voglio guardare.

 

A che serve questa primavera piovosa se non passi da qui a riportarmi i colori che piano piano, matita dopo matita ti avevo chiesto di conservare per me, rendendoti con l’amore della fiducia il custode del Bene? Non dirmi che serve veramente la tranquillità che porta la ragione, che tutto passerà e che ci sono all’orizzonte buone promesse. Queste son cose che so, son esperienze che conserva la mente, come certe giornate che sembrano non finire mai e finiscono comunque.

 

Ma cosa racconto alla voglia di voltarmi e vederti che ridi, al senso di malinconia che mi da sapere di non riabbracciarti, per consapevole nostra scelta. Forse ti ho preparato per il grande amore e capirai, come ho capito io, che non ti ho dato niente pur volendo darti molto. E avrai pena di me. Continua ad amarmi mentre te ne vai… continua ad amarmi.

 

Smettere di amarti? Come potrei. Sono un esploratore alla ricerca di qualcosa di perduto. Ho un abisso da visitare con la mia anima. Non ne ho mai avuto il coraggio. L’ho visitato con la ragione e sono impazzito. L’ho visitato col cuore e ha smesso di battere per l’orrore. Forse solo guardandolo con la mia anima smetterà di inghiottirmi, di chiamarmi. Solo allora sarò reale, tienimi la mano mentre apro gli occhi, devo guardare.

 

Sono un lord d’altri tempi. Compassato, distaccato. Non mi avvicino mai troppo, non faccio mai una piega. Ho un rammendo qui sul cuore, ma è invisibile, me l’ha fatto il sarto di Panama. Porto un fularino per coprire un piccolo segno che mi ha lasciato un’avventuriera mordendomi sul collo una notte. Verrò a prenderti una sera con l’anima piegata sul braccio come un cappotto da mezza stagione e lo spettacolo di una vita che non ammette altro finale.


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