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Posted by on domenica, Gennaio 7, 2018 in Midrash, Politica |

Commentario alla Desolazione (nona strofa)

Con l’anno nuovo arriva la penultima strofa della leggendaria Desolation Row di Bob Dylan, pignolamente commentata da Giorgio Guelmani. Per chi se li fosse persi, ecco i post precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo), la terza strofa (27 aprile), la quarta strofa (27 maggio), la quinta strofa (1 luglio), la sesta strofa (23 settembre), la settima strofa (14 ottobre), l’ottava strofa (18 novembre). Buona lettura!

1   Praise be to Nero’s Neptune
The Titanic sails at dawn
And everybody’s shouting
“Which Side Are You On?”
5   And Ezra Pound and T.S.Eliot
Fighting in the captain’s tower
While calypso singers laugh at them
And fishermen hold flowers
Between the windows of the sea
10  Where lovely mermaids flow
And nobody has to think too much
About Desolation Row

1-2. Sia lode al Nettuno di Nerone, il Titanic salpa all’alba.   Curiosamente, la versione italiana di De André (DADG) inverte l’ordine delle strofe mettendo questa prima, e non dopo, l’ottava (che abbiamo esaminato nel post del 18 novembre). Scelta che, a mio parere, depotenzia l’impianto complessivo della canzone e il suo crescendo di disastri. Non a caso, la Revisione De Gregori (RDG) rimette le cose a posto. Nerone è, ovviamente, il quinto imperatore romano (37-68). Non è molto chiaro chi sia “il Nettuno di Nerone”, tanto che la DADG e la RDG rimuovono il problema interpretativo eliminando Nerone (traducendo rispettivamente E bravo nettuno mattacchione e Sia lode a Nettuno imperatore). “Il Nettuno” potrebbe essere la polena della nave, “il Nettuno di Nerone” vorrebbe dire che la nave appartiene a Nerone, cioè a un potere folle e incontrollabile, mutevole come il mare.  Wikipedia informa che una delle opere pubbliche completate da Nerone fu Portus Augustus (nell’attuale comune di Fiumicino). Un sesterzio dell’epoca ci mostra da un lato la testa di Nerone cinta di lauri, dall’altro sette navi e un faro sormontato da una statua di Nettuno (ecco un possibile legame!). Il porto era molto esposto alle tempeste, e già nel 62 – riporta Tacito – affondarono 200 navi in una volta. Si spiegherebbe, quindi, perché l’immagine di Nettuno richiami quella del Titanic, il ben noto transatlantico britannico che, durante il viaggio inaugurale da Southampton a New York, entrò in collisione con un iceberg a mezzanotte del 14 aprile 1912 e s’inabissò causando la morte di 1.518 persone. Inutile ricordare la potenza simbolica del disastro del Titanic, assurto nell’immaginario collettivo a simbolo della hubris umana punita dal Destino, della fine della belle époque e della prima globalizzazione e così via. Inutile elencarne le trasfigurazioni artistiche, da Enzensberger a De Gregori (arieccolo!) a James Cameron. Ricordiamo solo che Dylan scriveva nel 1965 e non aveva in mente nessuna di queste rivisitazioni del Mito, apparse dopo. Piuttosto, è probabile che avesse negli occhi i più recenti prodotti cinematografici ispirati alla tragedia: il melodramma Titanic (1953) di Jean Negulesco (con Barbara Stanwyck e Clifton Webb), o il più accurato A Night to Remember (1958), del regista inglese Roy Ward Baker. Sia come sia, la parola “Titanic” fa subito pensare a un disastro annunciato, anche se non è chiaro chi stia salpando a bordo. Forse (come suggerirebbero gli ultimi due versi) gente che vuol fuggire dal Vicolo della Desolazione e dalla sua realtà dura e spietata, cercando un’America oltre l’America. Forse profughi pronti a rischiare la morte in mare pur di lasciare fame, guerre e torture.

3-4. E tutti quanti gridano “Da Che Parte Stai?” Anche qui ci sono varie possibili interpretazioni. Chi sono i “tutti quanti” che gridano “Da che parte stai”?. Potrebbero essere i residenti del Vicolo della Desolazione, che vedono salpare la nave dei fuggitivi, e chiedono loro di prendere posizione, invece di scappare (non dimentichiamo che, nella strofa precedente, c’è stata una retata ai danni dei dissidenti). O potrebbero essere i passeggeri del Titanic, in riferimento alla lotta tra Pound ed Eliot (di cui al verso 5). Per una traduzione consapevole occorre soffermarsi su questo grido Da Che Parte Stai? – non a caso tutto con iniziali maiuscole nel testo. Non si tratta di un generico invito a schierarsi, ma è il titolo di una famosissima canzone (Which Side Are You On, appunto), che per la sinistra sociale americana è un marchio identitario, un misto tra Bella Ciao e Sebben che siamo donne. Fu scritta nel 1931 – sull’aria di un inno battista “Lay the Lily Low” – da Florence Reece, moglie di un minatore di Harlan County (Kentucky) e attivista sindacale. Era in corso una durissima vertenza – con caratteri di vera e propria guerra civile –  durante la quale le autorità locali (con in prima fila lo sceriffo J.H.Blair) erano smaccatamente dalla parte dei proprietari delle miniere. La canzone fu scritta a caldo, sul retro del calendario che stava in cucina, proprio dopo un’irruzione intimidatoria e illegale degli uomini dello sceriffo in casa Reece. Le parole della canzone rendono l’idea di una lotta dura, senza la possibilità di “zoppicare dai due lati” (cfr I Re 18:21): Dicono che a Harlan County non ci sono neutrali / o sei un uomo del sindacato o sei uno scagnozzo di J.H.Blair. La citazione della canzone è particolarmente significativa in Desolation Row, dove Dylan (come vedremo anche nell’ultima strofa) mostra un rapporto conflittuale con la sinistra americana di cui era una delle voci di punta.

5-6. Ed Ezra Pound e T.S.Eliot lottano nella torre del capitano.  L’accostamento tra Pound (1885-1972) ed Eliot (1888-1965) non è bizzarro o anacronistico come altri nelle strofe precedenti (Romeo e Cenerentola, Casanova e il Fantasma dell’Opera): i due (entrambi nati negli USA, li abbandonarono a favore rispettivamente di Gran Bretagna e Italia) si conoscevano, si frequentavano, si stimavano (Eliot dedicò il poema The Waste Land a Pound, che l’aveva aiutato nell’editing, chiamandolo – in italiano, con reminiscenza dantesca –il miglior fabbro). Ebbero traiettorie politiche divergenti: Pound, ispirato da un confuso anticapitalismo che ricorda certi “sovranisti” odierni e ossessionato dall'”usura”, aderì al nazifascismo, compromettendosi con scritti e trasmissioni radio, tanto da essere imprigionato alla fine della guerra. Eliot divenne un tranquillo conservatore all’inglese (famosa la sua autodefinizione del 1929 come classicista in letteratura, monarchico in politica e anglocattolico in religione). Entrambi, in modo diverso, erano antisemiti. L’antisemitismo di Pound è quello di Hitler e dei Protocolli dei Savi di Sion, secondo cui gli ebrei dominano e corrompono il mondo con la potenza del denaro. L’antisemitismo di Eliot – che si manifesta in poesie degli anni Venti, come Gerontion o Burbank with a Baedeker, dove gli ebrei sono paragonati indirettamente a ratti (The rats are underneath the piles. / The jew is underneath the lot. / Money in furs), o etichettati come avidi proprietari immobiliari, è più stereotipato e moderato. Bisogna ricordare che – prima della Shoah – nella buona società borghese e “cristiana” una modica quantità di antisemitismo era considerata tollerabile. Più inquietante, semmai, è che in una conferenza tenuta all’Università della Virginia nel 1933 (quando Hitler era già al potere in Germania), Eliot abbia sostenuto che, per la stabilità sociale, What is still more important is unity of religious background, and reasons of race and religion combine to make any large number of free-thinking Jews undesirable (pubblicato nella raccolta di scritti del 1934 After Strange Gods: A Primer of Modern Heresy). Sembra che, a proposito, Bob Dylan abbia dichiarato: Quello che so di Ezra Pound è che aveva simpatizzato per i nazisti durante la seconda guerra mondiale e che aveva fatto trasmissioni antiamericane alla radio italiana, quel che basta per mandarlo affanculo. Non l’avevo mai letto, mentre mi piaceva quel tanto che appena basta, Thomas Elliot, lui sì che si poteva leggere. Molti commentatori, del resto, si sono esercitati a rintracciare citazioni e rimandi di The Waste Land in Desolation Row. Eliot e Pound rappresentano, comunque, due destre distinte e contrapposte. In lotta tra loro, lotta vera, non simulata o per finta (DADG traduce fanno a pugni nella torre di comando, stranamente RDG attenua l’effetto con un anodino discutono nella torre di comando). Due destre si combattono sanguinosamente, una tradizionalmente conservatrice, l’altra nazifascista: e la sinistra, dov’è? Due destre combattono per comandare una nave destinata a inabissarsi (è la nave del Sistema diretta verso la crisi, verso quella che Marx chiamava la rovina comune delle classi in lotta?): e la sinistra, dando per assodato che sia rappresentata da quelli che gridano Da che parte stai, che fa? Sta sulla nave, ridotta a parteggiare per uno dei due contendenti (“voto utile” pro Eliot, “tanto peggio tanto meglio” pro Pound, astensione) e incapace di esprimere un capitano proprio? O sta a terra, non coinvolta nel disastro del Sistema? Oppure Dylan scarta di lato e ci propone una terza via?

7-10. Mentre i cantanti di calypso li deridono, e i pescatori reggono fiori tra le finestre del mare, dove belle sirene galleggiano. Ecco, infatti, l’evocazione di un “nuovo soggetto politico” (e poetico): pescatori, cantanti di calypso, sirene. Con ogni evidenza, non fanno parte dell’equipaggio o dei viaggiatori del Titanic, ma neanche della fauna umana del Vicolo della Desolazione. Non sono personaggi storici o immaginari giunti lì per caso, né emarginati o freaks, né agenti della repressione. Pescatori e cantanti hanno, anzi, precise identità professionali: lavoratori che sudano per procurarsi – e procurare agli altri – il cibo e il piacere artistico. I pescatori possono ricordare i primi cristiani. Il calypso, musica afro-caraibica nata a Trinidad, da sempre con forte connotazione politica e popolare, è stato portato al successo commerciale da Harry Belafonte, militante del movimento per i diritti civili e ben conosciuto da Dylan. Secondo un commentatore, pescatori e cantanti di calypso rappresentano “gli umili e i disprezzati della terra (…) gli unici che sanno veramente cosa sta succedendo, che sono in grado di vedere ed esprimere la bellezza”, ciò che i Poeti Laureati – persi nelle loro lotte di potere – non sono capaci di fare. Il suggerimento di Dylan sarebbe, perciò, cambiare il mondo senza prendere il potere (come recitava il titolo di un libro di Fred Halliday, filosofo filo-zapatista di una quindicina di anni fa). Fiori e sirene rappresenterebbero la bellezza della natura, l’unica cosa che val la pena di cantare e perseguire. Accenti molti simili si trovano in Lay down your weary tune, canzone dylaniana del 1963 dove viene ripetuto l’invito a posare gli affanni e le preoccupazioni e abbandonarsi alla contemplazione della natura e alla bellezza della musica. Per questo cantanti e pescatori possono permettersi di deridere l’equipaggio del Titanic e il suo inutile agitarsi nel correre verso la rovina.

11-12. E nessuno deve pensare molto al Vicolo della Desolazione. Sviluppo coerente dell’interpretazione degli ultimi versi: facciamo il nostro lavoro, viviamo in armonia con la natura e con l’arte, pensiamo solo ai piaceri semplici. Forse è questa la via d’uscita dal Vicolo della Desolazione, che nelle prime strofe sembrava un simpatico rifugio per fricchettoni e progressivamente si è rivelato una distopia poliziesca. E che il Titanic se ne vada ad affondare per conto proprio, con Pound, Eliot e compagnia cantante.

Ora, per permetterci di riflettere meglio, e segnare una netta cesura con la strofa finale, Dylan piazza un bell’assolo di armonica. Alla prossima!

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Posted by on sabato, Novembre 18, 2017 in Midrash, New York |

Commentario alla Desolazione (ottava strofa)

Giorgio Guelmani torna a commentare – strofa per strofa – la canzone Desolation Row di Bob Dylan. Vi ricordo i post precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo), la terza strofa (27 aprile), la quarta strofa (27 maggio), la quinta strofa (1 luglio), la sesta strofa (23 settembre), la settima strofa (14 ottobre). Buona lettura!

1   Now at midnight all the agents
And the superhuman crew
Come out and round up everyone
That knows more than they do
5   Then they bring them to the factory
Where the heart -attack machine
Is strapped across their shoulders
And then the kerosene
Is brought down from the castles
10  By insurance men who go
Check to see that nobody is escaping
To Desolation Row

1-4. Ora a mezzanotte gli agenti e la ciurma superumana escono, e circondano tutti quelli che ne sanno più di loro. Mentre gli ignari abitanti del Vicolo della Desolazione si preparano alla festa (strofa precedente) dall’esterno arrivano, come truppe occupanti in un paese invaso, agenti e “ciurma sovrumana” a fare una retata. Evidente ed esplicito il richiamo all’FBI (il cui programma segreto COINTELPRO – attivo dal 1957 al 1971 – includeva azioni di infiltrazione, sorveglianza, sabotaggio a danno del Movimento in senso lato, da Martin Luther King ai comunisti). Era anche il periodo della coscrizione forzata per inviare la gente in Vietnam. La “ciurma sovrumana” fa allusione ai supereroi stile Marvel (non ancora approdati al cinema, ma già popolarissimi grazie ai fumetti), ma non è escluso che Dylan pensi anche al Superuomo nietzschiano. Bersaglio della repressione non sono i marginali, ma “quelli che ne sanno di più”, cioè l’intellettualità diffusa: studenti, artisti, creativi, liberi pensatori. Il Potere teme e perseguita chi usa la propria testa. C’è un po’ di paranoia in questa visione, che si ritrova anche in opere coeve di Philip K. Dick e innumerevoli altri? Indubbiamente, ma, come diceva quel tale, “il fatto che tu sia paranoico non implica che non ci sia, là fuori, qualcuno che ce l’ha con te”. E nel 1965 era così.

5-7. Poi li portano alla fabbrica, dove la macchina per l’infarto viene loro applicata alle spalle. I prigionieri sono forzati al lavoro di fabbrica, e sottoposti all’applicazione di una non meglio precisata “macchina per l’infarto”, probabilmente un ulteriore mezzo per controllarli. Forse scatena un infarto a comando appena percepisce un desiderio di ribellione. Un incubo ultra-fordista, con suggestioni dei Tempi Moderni di Chaplin. La traduzione DADG preferisce introdurre riferimenti al nazismo: “I prigionieri vengon trascinati / su un calvario improvvisato lì vicino / e il caporale Adolfo li ha avvisati / che passeranno tutti dal camino”, mentre la più recente RDG è più fedele all’originale. Una particolarità: mentre quasi tutte le altre quartine della canzone sono autonome, in questa il quarto verso (And than the kerosene) è legato alla successiva (tecnicamente, una specie di enjambement).

8-12. E poi il kerosene è portato giù dai castelli, da assicuratori che vanno a controllare che nessuno fugga verso il Vicolo della Desolazione. A cosa servirà mai questo kerosene? A sterminare i prigionieri – che però sono stati messi al lavoro forzato e la cui obbedienza, semmai, è assicurata dal deterrente della macchina per l’infarto? O a distruggere tutto il Vicolo della Desolazione, a far pulizia del ghetto pieno di anomalie sociali e anacronismi? O, più prosaicamente, ad alimentare la fabbrica e la sua insensata produzione? Quel che sappiamo è che il Kerosene viene dai castelli (quelli dove stanno Loro, i potenti, i Masters of War), ed è portato da assicuratori (simbolo di un lavoro burocratico, pienamente integrato nel Sistema, che della vita e della morte fa calcolo matematico e attuariale). Sia il Castello che l’Assicuratore, ovviamente, sono richiami ad un altro famoso ebreo visionario, Franz Kafka, che per sbarcare il lunario lavorava per l’imperialregio equivalente dell’INAIL. Oltre a trasportare il kerosene, gli Assicuratori devono verificare che nessuno dei prigionieri tenti di scappare verso il Vicolo della Desolazione: in senso letterale, di recuperare la libertà perduta. Ma anche in senso metaforico: il Vicolo della Desolazione è duro, inospitale, popolato di gente strana e pericolosa, eppure è più vero e autentico dell’America square e perbenista, degli agenti FBI e degli assicuratori. Si tratta di garantire la disciplina produttiva: la macchina del Sistema deve continuare a funzionare e a nessuno è concesso evadere verso altri mondi.

cointelpro

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Posted by on sabato, Settembre 23, 2017 in Midrash, Politica |

Commentario alla Desolazione (sesta strofa)

Le vacanze ci hanno impedito di rispettare la cadenza mensile del commentario – strofa per strofa – di Giorgio Guelmani alla canzone Desolation Row di Bob Dylan. Ricordo i post precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo), la terza strofa (27 aprile), la quarta strofa (27 maggio), la quinta (1 luglio). Buona lettura!

1     Dr. Filth, he keeps his world
Inside a leather cup
But all his sexless patients
They’re trying to blow it up
5     Now his nurse, some local loser
She’s in charge of the cyanide hole
And she also keeps the cards that read
“Have Mercy On His Soul”
They all play on penny whistles
10    You can hear them blow
If you lean your head out far enough
From Desolation Row

1-4. Il Dottor Abominio tiene rinchiuso il suo mondo in una tazza di cuoio. Ma tutti i suoi pazienti asessuati stan cercando di farla saltare. Devo ammettere che, prima di accingermi al gran comento (per dirla con l’Alighieri), ero convinto che il Dr. Filth fosse il personaggio di qualche fumetto, o B-movie, di fantascienza o di horror, tipo L’abominevole dottor Phibes o simili. Invece, un Dr. Filth -nome proprio non esiste, e la parola, in inglese, si può rendere con sporcizia, sudiciume, lordura, oscenità, schifezza. Tito Schipa (TSJ) e De Gregori 2015 (RDG), traducono con Dottor Lurido, mentre la prima traduzione di De André (DADG) salta l’intera strofa. Mi sono preso la libertà di tradurre Dottor Abominio, per richiamare la biblica abominazione della desolazione (Matteo 24:15 e Daniele 9:27), e l’atmosfera da distopia post-apocalittica della canzone. Gli interpreti si sono divisi in due sull’identificare il Dottore. Per alcuni si tratta del Dottor Freud, e per estensione della psicanalisi. Lo farebbe pensare il nome Filth (stessa iniziale, e stesso numero di lettere, cinque, di Freud), e la successiva introduzione dei pazienti asessuati. La psicanalisi si sarebbe convertita / pervertita in una dottrina che opprime e sopprime la sessualità delle persone, un tappo che deve essere fatto saltare per raggiungere una liberazione completa. Altri interpreti identificano Filth con il Dottor Mengele, o qualche altro dei medici coinvolti in mostruosi esperimenti sui prigionieri dei campi di sterminio. Nella tazza di cuoio ci sarebbero resti umani dei “pazienti”, magari pezzi di organi sessuali. Personalmente, darei più credito alla seconda interpretazione per due motivi: 1) in tutta la canzone Dylan è ossessionato da un possibile ritorno o avvento del nazifascismo; 2) al contrario, la psicanalisi non rientra tra le sue tematiche preferite (Dylan non è Woody Allen). Ci può essere anche un richiamo al libro di Ken Kesey One flew over the Cuckoo’s nest, scritto nel 1962 e adattato per il cinema da Milos Forman nel 1975.: in effetti, nel libro ci sono una rivolta dei pazienti di un ospedale psichiatrico, e un’infermiera dal pugno di ferro (vedi strofa successiva).

5-8. Ora la sua infermiera, una sfigata del posto, ha la responsabilità della fossa del cianuro. Inoltre, tiene le carte su cui si legge “Abbiate Pietà Della Sua Anima”.  Proprio nel 1965 uscì il libro The nazi seizure of power. Experience of a single German town 1930-1935,  dello storico William Sheridan Allen (traduzione italiana presso Einaudi: Come si diventa nazisti). Parla di una piccola città (Thallburg, nella regione di Hannover, diecimila abitanti circa), tradizionalmente socialdemocratica, dove in pochi anni il partito di Hitler riesce a penetrare e a divenire egemone, sfruttando la paura della depressione economica, la disoccupazione dilagante, un’abile propaganda per fomentare le paure della classe media. Il racconto di come, poco a poco, non per effetto di un colpo di stato improvviso, ma di una lenta disgregazione del legame sociale, i bravi cittadini di Thallburg divennero nazisti, è anche oggi impressionante e ammonitore. Non possiamo sapere se Dylan abbia letto, o sentito parlare del libro di W.S.Allen mentre scriveva la canzone. Così funziona (tra l’altro) il consenso alle dittature: un local loser, una persona qualsiasi della classe media in crisi di status e identità, può trovare una sua rivalsa divenendo una zelante pedina del regime. La sfigata locale si percepisce come una buona cristiana (RDG: recita il rosario), prega per l’anima del Dottore, ma nel contempo ne custodisce le riserve di veleno mortale.

9-12. Tutti quanti suonano fischietti di latta, puoi sentirli soffiare se sporgi la testa abbastanza lontano dal Vicolo della Desolazione. Chi sono “tutti quanti”? Solo i pazienti? La misteriosa musica che suonano potrebbe essere un inno di rivolta? Oppure il Dottor Abominio e la Sfigata Locale sono riusciti a rabbonirli, e a organizzare un’ipocrita festicciola comunitaria, come se ne facevano in certi manicomi e persino in certi lager?  Comunque, il consiglio per l’ascoltatore è di sporgere la testa lontano dal Vicolo della Desolazione, per sentire bene cosa sta accadendo. Potrebbe essere un invito ad abbandonare la propria comoda nicchia (anche vivere tra gli emarginati o gli alternativi può essere un modo di evadere) ed affrontare la realtà, una realtà fatta di orrore e di ribellione all’orrore. Nota: il penny whistle è un flauto a fischietto, a sei fori (appartenente alla stessa famiglia del flauto dolce), largamente usato nella musica celtica. In italiano si chiama anche pemperino o flagioletto.

tinwhistles

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Posted by on domenica, Agosto 6, 2017 in Midrash, Politica |

Il Buonista Samaritano

Il Maestro cominciò a raccontare questa parabola:

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei ladroni i quali, dopo averlo spogliato e coperto di ferite, se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada e, veduto quell’uomo, passò oltre, dall’altra parte. Similmente anche un levita si trovò a passare da quel luogo, lo vide e passò oltre, dall’altra parte. Ma un Samaritano, che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione. E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. E il giorno dopo, prima di partire, prese due denari e li diede al locandiere, dicendogli “Prenditi cura di lui e tutto quello che spennderai in più, te lo renderò al mio ritorno”. Quale dunque di questi tre vi pare sia stato il prossimo di colui che cadde nelle mani dei ladroni?

“Bella storia, Maestro, molto edificante,” disse il Primo Discepolo. “Ma, se posso permettermi, da dove li ha presi tutti quei denari quel Samaritano?”

Preso coraggio, il Secondo Discepolo alzò il ditino. “Non ci vorrebbe un’indagine conoscitiva per appurarlo? La legalità e la trasparenza dei bilanci devono venire prima di tutto.”

“Già, chi ha dato il permesso a questo straniero di venire da noi a salvare i nostri pellegrini? Era in regola col permesso di soggiorno?”, soggiunse il Terzo Discepolo.

“Aveva sottoscritto il Codice di Condotta sui Salvataggi per la Strada, emesso da Erode, Pilato e Caifa il mese scorso?” si intromise il Quarto Discepolo.

A quel punto la discussione tra i discepoli si fece caotica, si davano sulla voce l’un con l’altro.

“E poi, chi era questo tizio che scendeva da Gerusalemme a Gerico? Siamo sicuri che fosse un vero pellegrino e non un clandestino, magari un migrante economico della Decapoli?”

“Perché aiutare uno che si fa rapinare per la strada, quando a Gerusalemme è pieno di padri di famiglia che non arrivano a fine mese?”

“Non abbiamo il dovere di farci carico di tutta la miseria del mondo. Non sarebbe meglio aiutarli a casa loro?”

“E i soccorsi, non sono di competenza dell’esercito? Bisognerebbe che ogni aspirante soccorritore si certificasse e si facesse accompagnare da un legionario armato.”

“Ma poi, ce lo possiamo permettere di salvare tutte queste vite umane? Mi sembra un approccio ideologico cercare di salvare tutti.”

“Dobbiamo evitare l’estremismo umanitario.”

“Si rischia di dare un segnale sbagliato a questi pseudo-pellegrini, un fattore di spinta. Come dire, venite pure in massa a Gerusalemme, che tanto se vi succede qualcosa sulla strada del ritorno c’è sempre qualcuno che vi salva.”

“Per me, è ora di farla finita con questo buonismo.  Non stupiamoci poi se i Sadducei vincono sempre le elezioni,” concluse un tal Matteo.

Il Maestro alzò gli occhi al cielo. Padre, dove ho sbagliato?

samaritan

 

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Posted by on sabato, Luglio 1, 2017 in Midrash |

Commentario alla Desolazione (quinta strofa)

E rieccoci (scusate il ritardo) all’appuntamento midrashico mensile, in cui Giorgio Guelmani s’industria a commentare, strofa per strofa, la canzone Desolation Row di Bob Dylan. Ricordo i post precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo), la terza strofa (27 aprile), la quarta strofa (27 maggio). Buona lettura!

1     Einstein, disguised as Robin Hood
With his memories in a trunk
Passed this way an hour ago
With his friend, a jealous monk
5     He looked so immaculately frightful
As he bummed a cigarette
Then he went off sniffing drainpipes
And reciting the alphabet
Now you would not think to look at him
10    But he was famous long ago
For playing the electric violin
On Desolation Row

1-4. Einstein, travestito da Robin Hood, coi suoi ricordi in un baule, è passato di qui un’ora fa col suo amico, un monaco geloso.

Albert Einstein (1879-1955) è figura notissima anche nell’immaginario popolare come prototipo dello scienziato anticonformista, distratto e un po’ pazzo. Robin Hood è l’altrettanto iconico fuorilegge gentiluomo, protagonista di ballate e racconti popolari fin dal Quattordicesimo secolo. L’uomo di pensiero per antonomasia, quindi, si occulta sotto le vesti dell’uomo d’azione. Perché? Secondo alcuni, potrebbe essere il senso di colpa per avere contribuito (con la famosa lettera a Roosevelt dell’agosto 1939, in cui metteva in guardia sui progressi della Germania nazista nella fisica nucleare) alla scoperta della bomba atomica, con annesso incubo della guerra totale e della mutua distruzione associata (assai presente nelle canzoni del primo Dylan). Lo scienziato si mimetizza, ma non può liberarsi dei propri ricordi, che è come condannato a portarsi dietro in un baule (il mio peccato mi sta dinanzi del continuo). L’amico di Einstein è un monaco geloso: c’è un’allusione al difficile rapporto tra scienza e religione, con quest’ultima invidiosa e risentita per avere perso la sua importanza e la sua presa sulla gente a favore della scienza. C’è comunque un rapporto di amicizia, nel caso specifico: Einstein non era un ateo alla Dawkins, ma un agnostico con simpatie panteiste. Nota sulle traduzioni: DADG elimina l’allusione a Robin Hood (“Einstein travestito da ubriacone”) e il monaco (facendo rimare “baule” con “l’ultima Thule”); RDG dà a Einstein “un cappuccio sulla testa”, e attribuisce al monaco “un’aria circospetta”.

5-8. Sembrava così immacolatamente timoroso, mentre elemosinava una sigaretta, poi se n’è andato sniffando i tubi di scarico, e recitando l’alfabeto.

Fa tenerezza questo grande scienziato, ridotto a mendicare sigarette e a sniffare tubi di scarico, no? I commentatori vedono sia un’allusione alla distrazione e alla timidezza dell’uomo Einstein, ben nota da molti aneddoti, sia alla misera condizione della scienza in generale, ridotta a formule vuote e incomprensibili ai più (la “recita dell’alfabeto” potrebbe alludere alla nota formula E=mc2). Dopo avere soppiantato la religione, la scienza è stata a sua volta sbalzata dal piedistallo – e dire che la canzone è di cinquant’anni fa, quindi Dylan non poteva certo pensare ai deliri contemporanei degli antivaccinisti, o dei credenti nelle scie chimiche …

9-12. Ora, a guardarlo, non lo penseresti, ma era famoso tanto tempo fa, perché suonava il violino elettrico nel Vicolo della Desolazione.

Vedi il vagabondo timido e tossico, e non ti verrebbe mai in mente il grande scienziato che fu: sic transit gloria mundi. E il violino? E’ noto che Einstein iniziò a studiare il violino all’età di sei anni, quando viveva a Monaco di Baviera; che Bach, Brahms e soprattutto Mozart erano i suoi autori preferiti; che aveva soprannominato Lina il suo violino preferito, lasciandolo in eredità al nipote Bernhard Caesar; che amava suonare in pubblico (anche se non esiste, a quanto pare, alcuna testimonianza sonora delle sue esibizioni). Non risulta, però, che Einstein suonasse il violino elettrico, strumento che cominciò a essere usato negli anni Venti, ma non ha mai avuto una grande diffusione commerciale fino agli anni Settanta. Forse qui non si parla più di Einstein e il violino, ma di qualcun altro. Chiunque conosca minimamente Dylan avrà già capito a cosa alludiamo. In effetti, il 25 luglio 1965, appena quattro giorni prima della primissima incisione in studio di Desolation Row, Dylan si esibì al Newport Folk festival (Rhode Island), appuntamento collaudato della scena folk, blues e bluegrass americana. Già da qualche mese aveva pubblicato il suo quinto album, Bringing it All Back Home, dove per la prima volta un intero lato del disco (il primo) lo vedeva accompagnato da una band elettrica (nel Lato B tornava alla sua classica formula voce -chitarra acustica -armonica). La sera del 25 luglio, come dicevamo, Dylan salì sul palco, dove aveva appena finito di esibirsi un gruppo di folk tradizionale, e, accompagnato da Mike Bloomfeld alla chitarra elettrica e Barry Goldberg al piano, interpretò Maggie’s Farm e Like a Rolling Stone. Narra la leggenda che il pubblico fischiò sonoramente la performance di Dylan, considerandola un tradimento degli ideali (artistici e anche politici) del folk revival. Il grande Pete Seeger dichiarò: “Se avessi avuto un’ascia, avrei tagliato i cavi personalmente”. Successive rivisitazioni dell’episodio sostengono che in realtà sia il pubblico, che Seeger stesso, disapprovarono l’esibizione soprattutto a causa della pessima qualità del suono. Nel 2005 John Cohen, membro dei New Lost City Ramblers e cognato di Pete Seeger, sostiene che quest’ultimo temeva che i suoni distorti danneggiassero l’udito dell’anziano padre, che portava un apparecchio acustico. Comunque sia, Dylan la prese piuttosto male: quarant’anni dopo avrebbe dichiarato che la reazione negativa di Seeger (che Dylan vedeva come una figura paterna, essendo stato uno dei migliori amici del suo mito Woody Guthrie) era stata come un pugnale nel cuore. Qui si approfondì il solco di rancori e incomprensioni tra Dylan e una buona parte della sinistra musicale americana: ne riparleremo.  In conclusione, la “questione elettrica” ci spinge a rileggere l’intera strofa: forse Einstein non rappresenta la Scienza, ma è una trasfigurazione di Dylan stesso, come lui un outsider: ebreo in mezzo ai Gentili, intellettuale costretto a travestirsi da fuorilegge.

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Posted by on sabato, Maggio 27, 2017 in Midrash |

Commentario alla Desolazione (quarta strofa)

Poiché il lupo perde il pelo, ma non il vizio, Giorgio Guelmani prosegue il commentario al Nobel per la Letteratura 2016. Oggi è il turno della quarta strofa di Desolation Row. Nelle puintate precedenti: l’introduzione generale (31 gennaio), la prima strofa (18 febbraio), la seconda strofa (25 marzo) e la terza strofa (27 aprile). Enjoy!

1      Now Ophelia, she’s ‘neath the window
For her I feel so afraid
On her twenty-second birthday
She already is an old maid
5      To her, death is quite romantic
She wears an iron vest
Her profession’s her religion
Her sin is her lifelessness
And though her eyes are fixed upon
10     Noah’s great raimbow
She spends her time peeking
Into Desolation Row

1-4. Ora Ofelia è sotto la finestra, ho così paura per lei.  Al suo ventiduesimo compleanno è già una vecchia zitella.

Ora appare, direttamente per noi dall’Amleto di Shakespeare, Ofelia, la triste promessa sposa del principe danese, destinata (spoiler!) a morire suicida per annegamento. Stranamente, non ci viene presentata davanti o dietro la finestra, ma sotto (forse è sotto il balcone di Giulietta, visto che due strofe fa c’era Romeo?). Ofelia ha appena compiuto ventidue anni: da notare che, nel 1965 (epoca di composizione di Desolation Row), compiva ventidue anni Suze Rotolo. Chi è costei? Nata a Brooklyn nel 1963, cresciuta a Sunnyside nel Queens, figlia di attivisti del Partito Comunista Americano. E’ la ragazza che appare, a braccetto con un giovane Dylan, sulla copertina del suo secondo disco, The Freewheelin’. Atttivista antirazzista e antinucleare, conobbe Bob Dylan a un concerto folk nel 1961. Andarono a vivere insieme all’inizio del 1962 (con una pausa di sei mesi perché Suze andò a studiare all’Università di Perugia), e la loro storia terminò nel 1964. Conoscendo Dylan, ci sta che abbia trasfigurato negativamente in una canzone una sua ex. Alla loro rottura è ispirata, in modo anche più crudo, la canzone Ballad in Plain D, decima traccia del suo album precedente, Another side of Bob Dylan.

5-8. Per lei, la morte è piuttosto romantica. Indossa un panciotto di ferro, la sua professione è la sua religione, il suo peccato è la sua mancanza di vitalità.

Dylan continua a delineare un ritratto acido della sua Ofelia -Suze. La descrive come una persona che non ama la vita e ritiene la morte romantica, come una bigotta che indossa un cilicio, come una donna noiosa che prende troppo sul serio il proprio lavoro. Una critica che, rasentando il luogo comune qualunquista, Dylan estende a tutte le persone animate da zelo religioso e/o politico. “La sua professione è la sua religione”, dopotutto, andrebbe bene anche per descrivere il protestante classico, per cui il lavoro è vocazione. Se si intende il nesso predicativo al contrario, si legge una critica contro la religione organizzata e tutti coloro che fanno della loro fede un lavoro.

9-12. E anche se ha gli occhi fissi sul grande arcobaleno di Noè, passa il tempo a curiosare dentro il Vicolo della Desolazione.

In ultimo, ecco l’accusa di ipocrisia: Ofelia tiene lo sguardo fisso sull’arcobaleno (la promessa divina di nuovi cieli e nuova terra? il sol dell’avvenire del socialismo?), ma non può fare a meno di curiosare, anche morbosamente, nel mondo immorale, duro, spietato, eppure così eccitante del Vicolo della Desolazione. Bisogna dire che, come spesso accade, la Suze Rotolo in carne e ossa non seguì il triste destino che il suo ex le presagiva. Wikipedia ci informa che, lungi dal suicidarsi giovane come il suo modello shakesperiano, Rotolo viaggiò per il mondo, si sposò, ebbe un figlio, proseguì nel suo attivismo politico e nel suo lavoro di artista, illustratrice e operatrice di teatro di strada. Partecipò a documentari sulla New York degli anni Sessanta. Morì nel 2011 di cancro al polmone, dopo aver lottato una vita intera per togliersi l’etichetta di “prima musa di Dylan”. Tardivamente, nel 1985, Dylan chiese scusa per la canzone Ballad in Plain D, ammettendo “devo essere stato proprio uno schmuck a scriverla. Tra tutte le canzoni che ho scritto, questa potevo risparmiarmela”. (Schmuck è un termine yiddish che significa più o meno scemo).

Appendice. Anche i Grandi sbarellano.

Come si sarà capito, questa quarta strofa rappresenta il punto più basso del poema dylaniano, con un attacco personale ad hominem (anzi ad feminam) dalla scarsa portata visionaria. Sarà per questo che la prima versione italiana della canzone, la DADG (1974), ha stravolto la strofa sino a renderla irriconoscibile. Leggiamo come l’hammo fatta diventare De André e De Gregori:

I tre Re Magi sono disperati / Gesù Bambino è diventato vecchio / e Mister Hyde piange sconcertato / vedendo Jekyll che ride nello specchio. / Ofelia è dietro la finestra / mai nessuno le ha detto che è bella / a soli ventidue anni / è già una vecchia zitella. / La sua morte sarà molto romantica / trasformandosi in oro se ne andrà /per adesso cammina avanti e indietro /in via della Povertà.

Ogni commento è superfluo. Può essere interessante annotare che, rivedendo la traduzione nel 2015, Francesco De Gregori ha completamente eliminato la strofa.

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