Mafalda, Marx e la minestra
Ricevo e volentieri pubblico questo articolo scritto da mio marito Giorgio Guelmani.
Da ragazzino, leggevo avidamente i fumetti dei Peanuts e di Mafalda. Entrambi leggevano e criticavano il mondo dalla prospettiva di una comunità di bambini e bambine. Più profondi e intimisti i Peanuts (ovviamente, io mi identificavo con lo sfigatissimo Charlie Brown), più politica e irriverente Mafalda (non a caso diffusa in Italia come Mafalda la contestataria). Una delle gag ricorrenti della piccola argentina era la sua lotta quotidiana contro la minestra che la mamma le propinava a cena (anche qui, facilissimo identificarsi col personaggio). Una volta, la mamma le dice qualcosa tipo “I bambini che non mangiano la minestra non crescono”, e Mafalda, dopo aver contemplato l’orrore fumante, ribatte, più a sé stessa che altro “Chissà che pace nel mondo ci sarebbe oggi se Marx non avesse mangiato la minestra!”.
Devo ammettere che a me, ragazzino cresciuto in una famiglia di sinistra, la chiusa della striscia turbò e non poco, anche perché da noi essere “contestatari” implicava anche l’adesione a una delle molteplici declinazioni del marxismo. Poi imparai a razionalizzare la cosa, considerando che l’Argentina non era l’Italia e che Quino aveva fatto semplicemente l’associazione di idee Marx => comunismo => URSS => guerra fredda => minaccia atomica, e che quindi tutti i torti non li aveva.
Passati oltre quarant’anni, non c’è giorno che, leggendo le pagine di politica internazionale, quella vecchia vignetta non mi ritorni in mente. Guerre etniche, secessionismi, guerre di religione, razzismo, rivolte senza prospettive, polarizzazione della società tra ricchissimi e impoveriti: qualche volta ho il sospetto che, in qualche modo oscuro, l’auspicio di Mafalda si sia realizzato e che una mattina di qualche anno fa ci siamo risvegliati in un’ucronia in cui Marx non ha mai mangiato la minestra. Niente Stalin, Gulag e guerra fredda; ma anche niente movimento operaio, sindacati, socialdemocrazia, Welfare State, dignità dei lavoratori che, come diceva Di Vittorio, hanno imparato a tenersi il cappello in testa davanti al padrone. Condannati ad apprezzare e ingoiare (come la minestra di Mafalda) la globalizzazione in tutto e per tutto, schiavi della ferrea legge del “non ci sono alternative”; oppure a rifiutare tutto in nome di un Bel Vecchio Tempo Andato che non è mai esistito. Da un lato il pensiero unico, dall’altro il non-pensiero “post-fattuale”, antiscientifico, complottista. Che l’emancipazione degli oppressi abbia bisogno anche di scienza e non solo di buoni sentimenti, un efficiente fund-raising, e nobili afflati del cuore, ce lo siamo scordati. Marx era uomo della modernità e riteneva che il capitalismo fosse un progresso dell’umanità rispetto alle antiche dipendenze, e che, nel contempo, fosse da superare per completare l’emancipazione umana. Ora sembra che non siamo più capaci di pensare le due cose insieme, o semplicemente di imbastire un’analisi più complessa di un post o di un tweet.
Tutti si indignano virtuosamente contro il “populismo”: ma cosa vi aspettavate da una società atomizzata, liquida, disintermediata, dove la classe media è sempre più terrorizzata, da un mondo dove la sinistra sembra ridotta a un club di nerd e di Bobos (Bourgeois Bohémiens) ben pasciuti, soddisfatti, sostenitori dei sacrosanti diritti civili ma dimentichi dei più elementari diritti sociali?
Non resta che augurarci che non uno, ma molti e molte Marx abbiano mangiato, qualche anno fa, la loro minestra serale e siano capaci di dare intelligenza e prospettive alla rabbia che cresce nel mondo e rischia di travolgerci tutti. (Non mi sto chiamando fuori: come diceva il grande Renaud alla fine della sua canzone sui Bobos, je fais aussi partie du lot).
Read More