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Posted by on sabato, Aprile 1, 2023 in Wurstel |

Il costo della distanza

PokémonGo, il noto gioco per smartphone in cui bisogna catturare mostriciattoli camminando, sta per compiere sette anni. Certo, non è più una novità e i giovanissimi cominciano a trattarlo come “una boomerata”, ma per me rimane un ottimo ed economico antistress. Una delle avventure più eccitanti è il Raid a distanza. In soldoni, un Raid è quando una palestra viene occupata da un Pokémon (che può essere debole o fortissimo) e più giocatori si associano per batterlo e tentarne la cattura. In periodo COVID sono stati introdotti i raid a distanza: non si era più vincolati alle palestre a portata di mano, ma con un biglietto speciale si poteva partecipare a Raid anche in un altro continente, se invitati da altri giocatori. Il biglietto Raid a distanza è sempre costato 100 Pokémonete (non impossibili da procurarsi), il pacchetto da tre biglietti prima 250, poi 300. Oggi è comparsa la notizia che da giovedì 6 aprile sera il prezzo del Raid a distanza passerà da 100 a 195 e quello del pacchetto di tre da 300 a 525. Insomma, l’inflazione, che siamo tornati a conoscere in questi ultimi due anni, si fa sentire anche nel mondo virtuale con aumenti  tra il 75 e il 95 per cento. Altro che la bolletta del gas.

Il comunicato di Niantic ricorda un po’ quelli del Comune quando aumentano le tariffe dei mezzi pubblici. La cosa più interessante è che la manovra viene presentata con il dolce eufemismo di bilanciamento (anziché il classico adeguamento tanto amato dai decisori nostrani). Non si sa bene cosa venga bilanciato con cosa, ma tant’è. A meno che non sia la classica politica dei due tempi: fate sacrifici oggi, poi sarete ripagati in un luminoso futuro. Per i giocatori (come per i lavoratori in contesti più seri) l’aumento dei prezzi arriva subito, quello delle remunerazioni chissà.

L’ingresso di PokémonGo (nato negli anni della bassa inflazione e della liquidità facile) nel duro mondo della stagflazione va comunque salutato come una svolta storica. Come sappiamo, il gioco era nato nella modalità scanzonata dell’Amico Zuzzurellone: ti porto a esplorare il mondo – a costo di visitare luoghi pericolosi. Poi, già prima del COVID, con l’introduzione dell’allerta meteo, era entrato in modalità Mamma Apprensiva: copriti che fuori piove e tira vento, esplora ma con prudenza. Ora il gioco acquisirà la nuova modalità Banchiere Centrale, con severo controllo dei prezzi e manovra dei tassi. Tra poco il Professor Willow cambierà look e adotterà il gessato grigio alla Mario Monti.

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Posted by on domenica, Febbraio 26, 2023 in Streghe | 1 comment

Poëtflix

Nella seconda metà di febbraio ho dedicato alcuni giorni alla visione della nuova serie Netflix di produzione italiana, La legge di Lidia Poët. Normalmente non vedo film o serie italiane, avendo un forte pregiudizio – che i fatti non smentiscono: ricordo bene quanto mi delusero la serie pseudo-horror Curon o il pluriacclamato È stata la mano di Dio. Ma ho fatto un’eccezione, perché nella mia bolla social e tra gli intellettuali della mia chiesa (valdese) si era creata una forte aspettativa per questa serie, andata in onda proprio il 15 febbraio, due giorni prima della Festa della libertà, mentre alle Valli valdesi si preparavano gli annuali falò. Eh, sì: Lidia Poët era valdese e quindi c’era la curiosità di vedere se e come la serie avrebbe trattato questo aspetto.

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO – a partire da qui il post contiene pesanti spoiler – proseguite a vostro rischio e pericolo!

Come dicevamo prima del caveat, Lidia Poët era valdese. Nacque a Traverse di Perrero (Val Germanasca) da un’agiata famiglia valdese nel 1855 e morì a Diano Marina nel 1949 (fonte Wikipedia). I soli elementi di realtà biografica conservati nella fiction sono:

  • Si laureò in Giurisprudenza nel 1881;
  • Svolse praticantato da avvocata;
  • Chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e fu ammessa in prima battuta (9 agosto 1883);
  • Il procuratore del Regno impugnò la decisione presso la Corte d’Appello, che ordinò la cancellazione di Poët dall’albo;
  • Poët fece ricorso in Cassazione, che lo rigettò il 18 aprile 1884, con argomentazioni degne dei Talebani, fedelmente riportate;
  • Poët non poté esercitare la professione ma collaborò nello studio del fratello Giovanni Enrico.

Spoiler per eventuali successive stagioni: solo nel 1920 Poët (all’età di 65 anni) poté entrare nell’Ordine degli Avvocati.

Per il resto, la serie investa pesantemente il background della Nostra, trasferisce il tutto da Pinerolo alla più fotogenica Torino e soprattutto omette la valdesia dell’eroina. Lidia diventa un’avvocata stile Perry Mason, che compie indagini in proprio per scagionare i propri assistiti, aiutata con riluttanza dal fratello. Tale fratello nella realtà storica non si sposò mai (come del resto Lidia) ma gli viene inventata di sana pianta una famiglia con moglie conservatrice, figlia in fregola e cognato giornalista bel tenebroso. Orbene, non ho nulla contro la trasformazione in occasionali detective di illustri personaggi storici: è stato fatto innumerevoli volte, da Aristotele a Leonardo da Vinci, passando per Dante Alighieri (vedrei bene Le indagini di Giovanni Pascoli, la cui Cavallina Storna sarebbe un partner mica male). Qualche anno fa Netflix distribuì una serie austriaca sugli inizi della carriera di Sigmund Freud, che si trovava ad affrontare una sorta di setta di nobili ungheresi che commettevano orribili delitti. La serie funzionava perché: 1) le radici ebraiche di Freud non erano nascoste, anzi, si metteva il risalto il conflitto con la famiglia osservante; 2) la storia thriller – horror aveva senso e ritmo.

Nella Legge di Lidia Poët invece le radici valdesi sono rimosse e ignorate, e quel che è peggio è che la storia poliziesca – che costituisce la cosiddetta “trama verticale” (un caso di omicidio da risolvere a ogni puntata) non funziona. Viene definita crime – procedural ma il procedural non c’è (si arriva al dibattimento in aula una volta sola, e le abilità avvocatesche di Lidia Poët sono tali che la sua assistita si dichiara colpevole). E il crime è proprio scarso:: il metodo d’indagine di Lidia Poët si riduce all’andare in giro di qua e di là, interrogare a casaccio le persone coinvolte e infine incastrare l’assassino dicendogli “sei stato tu” col che il reo crolla subito o si tradisce perdendo la calma. Lidia Poët, con un discreto tasso di anacronismo, introduce pionieristici metodi d’indagine come l’analisi delle impronte digitali e il poligrafo (primordiale macchina della verità) che sarebbero stati utilizzati nella realtà dieci anni dopo, per non menzionare il modernissimo modello di bicicletta che inforca. Non parliamo poi della cosiddetta trama orizzontale, ovvero l’enigma dello strano comportamento del fascinoso cognato. Alla fine, per la gioia di Nordio e Delmastro, viene fuori che è colpa degli anarchici.

Potremmo aggiungere che gli attori più rinomati (l’emergente Matilda De Angelis nel ruolo del titolo e il pronipote d’arte Eduardo Scarpetta alias il cognato) recitano tristemente “all’italiana”, tra urla e sussurri che costringono a regolare in continuazione il volume. I più bravi a recitare sono i caratteristi. Può suscitare qualche perplessità anche il gratuito uso del turpiloquio (non penso che la buona borghesia piemontese del 1883 dicesse “caz*o” a ogni piè sospinto), per non parlare della disinvoltura erotica della protagonista (si sa che un personaggio femminile di spicco deve sempre essere sessualizzato pesantemente, a meno che non sia Madre Teresa di Calcutta). Le battaglie sociali condotte dalla vera Lidia Poët (difesa degli emarginati, umanizzazione delle carceri, suffragio femminile) vengono così banalizzate.

Come ci si poteva attendere, la lingua comune dei personaggi è il classico pidgin romanesco tipico delle produzioni italiane. E dire che il produttore, Matteo Rovere, aveva diretto qualche anno fa Romulus, una serie in proto-latino. Vista la sciatteria del tutto, non ci si stupisce che (33 volte su 36 a un conteggio approssimativo) il cognome della protagonista si apronunciato Pòet anziché Poèt.

Insomma, sarebbe stato meglio se la serie si fosse chiamata Lidia Rebaudengo: l’intellettualità valdese non sarebbe rimasta delusa, io non avrei perso il mio tempo a vedere la serie, né voi l’avreste perso a leggere questo post.

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Posted by on sabato, Febbraio 11, 2023 in Pillole di Blog, Streghe |

Weekend salati

Con l’arrivo dell’anno nuovo e dei giorni più freddi dell’inverno ho cominciato a dedicare il sabato mattina alla preparazione di torte salate. Le ricette non le ricavo dall’ancestrale sapienza delle donne della mia stirpe, ma più banalmente dalla Rete. Non sono mai stata una che ama cucinare per il gusto di farlo, né che si alza a ore antelucane per preparare la pasta. Acquisto gli imgredienti pronti – anche surgelati se necessario – al supermercato di prossimità. Torta ai carciofi, torta con zucchine e cotto, gateau di patate e bietole, in mezza mattinata escono dal forno, ben odorose e appetitose, e vengono consumate nelle cene di sabato e domenica. In questo periodo freddo e triste dell’anno, mentre fuori infuriano la guerra, la crisi economica, il governo post-fascista e il Festival di Sanremo, preparare e poi mangiare in coppia una buona torta fa bene al portafoglio e all’umore, allo stomaco e all’autostima.

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Posted by on sabato, Gennaio 28, 2023 in Pillole di Blog |

Chi l’ha visto?

L’altro ieri una conoscente mi comunica che il suo medico di famiglia – persona affidabile, che ha lo studio poco lontano da casa sua – non dà più segni di sé. Al telefono risponde la segreteria, le mail non ricevono riscontro. Si tratta di un tipo coscienzioso, che quando è in vacanza o in malattia fa sempre apporre al portone del palazzo dove ha lo studio un cartello col nome e il recapito del suo sostituto. Stavolta, invece, nulla. La mia conoscente ha tentato anche di chiedere notizie alla portinaia del suddetto palazzo: la signora, anziché attenersi allo stereotipo della portinaia pettegola e onnisciente, si è comportata come i politici reticenti che a ogni domanda rispondono no comment. Si è diffuso il disagio, nella pagina social del quartiere si sono rincorse le voci sempre più allarmistiche, fino all’immancabile proposta di rivolgersi a Chi l’ha visto?

Poi la semplice verità si è fatta strada. Da domenica scorsa Libero – che non è il quotidiano trash – e Virgilio – che non è il poeta mantovano – due noti server di posta elettronica, sono down, come si dice in linguaggio tecnico. La sindrome omonima non c’entra: vuol dire che non funzionano.  Milioni di caselle di posta elettronica sono irraggiungibili e non funzionanti (ne è rimasto coinvolto, tra gli altri, anche il sensei di mio marito, che nella vita civile fa l’architetto). Solo in queste ore, a quanto ci dicono, stanno riprendendo a funzionare. Manco a dirlo, il nostro dottore aveva una casella Libero, e quindi figurava tra i desaparecidos digitali. La mia conoscente mi comunica che il suo quartiere ha torato un grande sospiro di sollievo.

Facile a questo punto mettersi a pensare su quanto la nostra vita dipenda ormai da queste protesi tecnologiche. Già le associazioni dei consumatori affilano le armi, preparandosi a class action stile romanzi di John Grisham. Nel mio piccolo mi permetterei di ricordare agli sventurati utenti che pure il padre della lingua italiana, Dante Alighieri, a un certo punto mollò Virgilio, per passare a un provider più affidabile, Beatrice.

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Posted by on sabato, Gennaio 7, 2023 in Arti Marziali, Politica |

Il Giorno del Gattone Grasso

Ieri in Italia non era solo la Befana. Era anche il Fat Cat Day. Non si tratta di una festa dedicata ai nostri amici felini, ben noti per il loro amore sviscerato per l’ozio e le sane mangiate. Fat Cat, nei paesi anglosassoni, denomina il ricco avido di guadagno, spesso con forti entrature nella politica.

La ricorrenza è stata inventata dallo High Pay Centre, un gruppo di ricerca britannico. Essa celebra – ironicamente e a scopo di sensibilizzazione – il giorno dell’anno in cui la retribuzione media dei supermanager delle 100 principali società quotate alla Borsa di Londra eguaglia la retribuzione media annua di un lavoratore dipendente. Tale traguardo è stato raggiunto il 5 gennaio, ovvero in cinque giorni un CEO britannico guadagna quanto un lavoratore in tutto l’anno. Da noi stiamo solo un po’ meglio: il Fat Cat Day 2023 cadeva il 6 gennaio (nel 2022 era il 7 gennaio).  A calcolare è l’Osservatorio di JobPricing. Il parametro di riferimento è la busta paga del tipico dipendente del settore privato e il campione di riferimento sono le 210 aziende quotate a Piazza Affari.

Il Fat Cat Day ricorda un poco il più noto Earth Overshoot Day, la data dell’anno in cui la domanda di risorse ecologiche da parte dell’umanità supera la capacità di rigenerazione della Terra (nel 2022 cadde il 28 luglio, nel 2021 il 29 luglio).

Degrado del pianeta e ingiustizia sociale scandalosa avanzano inesorabilmente. E i ricchi epuloni oggi, non contenti di vestirsi di porpora e di bisso e festeggiar splendidamente (cfr. Luca 16: 19) ogni giorno occupano i mass media e le reti sociali per fare la predica ai poveri Lazzari, rei di non essere abbastanza meritevoli, competitivi e “occupabili”.

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