Ricevo, e volentieri pubblico, una favola scritta dal mio amico Lorenzo Vantellini. Grazie a Lorenzo, e, per la revisione, grazie al suo amico Matteo Mario Vecchio. Godetevela!
C’erano una volta un re e una regina tanto desiderosi di avere un figlio. Dopo anni, finalmente, le buone Fate del Giardino del Castello decisero di accontentarli: così, il primo giorno d’estate, nacque un principino, cui diedero il nome di Astro, poiché era la stella del re e della regina.
Immensa fu la gioia dei due sovrani: talmente grande che il re decise di dare una grande festa nel castello, alla quale invitò tutti i suoi sudditi. Non si dimenticò neppure delle buone fate, che appena giunte si avvicinarono alla culla per offrire al principino un dono ciascuna. La prima gli offrì il dono della bellezza, la seconda della forza; quindi gli fu donata la bontà; poi il coraggio. Vennero i doni della saggezza e dell’intelligenza.
Quando arrivò il turno della settima fata, un vecchio vestito di nero dal mantello viola si fece largo tra gli invitati: era Eldo, l’anziano e malvagio zio delle fate che tutti davano per morto e che per questo non era stato invitato.
– Vedo che qui c’è una grande festa, alla quale non sono stato inviato!
– Perdonatemi – rispose il re -, ma mi era giunta la notizia della vostra morte… Ma prego, mi fa piacere sapervi ancora in vita; accomodatevi.
– Non preoccupatevi, sire; sono qui solo per offrire al piccolo un dono anch’io.
Un brivido di terrore zittì tutti.
– Ecco il mio dono: il giovane Astro, quando compirà diciotto anni, si ferirà con la lama di una spada, e morrà.
Detto questo, scomparve, lasciando la corte nello sgomento.
– Ma non si può fare nulla? – chiese alle fate la regina disperata; il re, muto per lo spavento, si era abbandonato a un pianto dirotto.
La settima fata, allora, poiché ancora non aveva offerto il proprio dono, disse:
– Non si possono cancellare i malefici dello zio; tuttavia posso trasformare la morte in un sonno profondo. Astro si risveglierà quando riceverà un bacio di vero amore.
E così il re, non potendo distruggere tutte le spade del regno, fece in modo di proteggere il più possibile l’amato figlio: dichiarò pace ai regni confinanti, non mobilitò più l’esercito, dando inizio così ad un tempo di prosperità.
Intanto il principe cresceva, e, come ogni principe che si rispetti, si esercitava con la spada; il re, pertanto, per evitare che si potesse ferire, chiamò a corte i fabbri più esperti del regno affinché potessero forgiargli un’armatura la più resistente possibile.
Non soddisfatto, organizzava sontuose feste al castello invitandovi tutte le più belle fanciulle del regno, nella convinzione che Astro si sarebbe innamorato di una di loro.
Man mano che cresceva, Astro diventava sempre più bello, con i suoi occhi verde smeraldo e la sua lunga e folta chioma nera.
Si avvicinava il giorno del suo diciottesimo compleanno. Diciotto anni! Non era un compleanno qualunque, e doveva essere festeggiato come si doveva. Il re organizzò a corte uno splendido ballo.
Poco prima della festa i servitori aiutarono Astro a prepararsi per il ballo. Lo vestirono con gli abiti più belli, cuciti per l’occasione dal sarto di corte. Era quasi tutto pronto: mancava solo il calzolaio con le nuove scarpine, ma questui tardava a venire.
Finalmente giunse un vecchietto con in mano delle splendide scarpette di seta blu.
– Scusatemi del ritardo, altezza – disse -; per farmi perdonare, permettete che sia io stesso a calzarvele.
Il principe acconsentì, senza sospettare che all’interno della sinistra ci fosse la punta di una spada; il vecchietto gliela fece calzare con tutte le sue forze fino a quando riuscì a ferirgli il piede con quel frammento di lama.
Astro cadde allora in un sonno profondo, mentre il vecchietto – che altri non era che il mago Eldo – scomparve prima dell’arrivo delle guardie con il re.
Disperato, il re corse a chiamare tutte le giovani più belle e nobili del regno.
– Che cosa è successo?-, gridò disperata una di loro.
– Ma è proprio addormentato? Come si fa a svegliarlo?-, gemette singhiozzante un’altra.
– E’ sempre così bello – disse un’altra ancora.
E così una dietro l’altra passarono a dargli un bacio, con tutto l’amore che provavano per lui. Nonostante questo, però, il principe continuò a dormire.
A questo punto il re cadde nella disperazione; come era possibile? Aveva pensato a tutto, provveduto in ogni modo a proteggerlo; e la disgrazia era ugualmente accaduta; e poi, come mai non si era risvegliato con nessuno di quei baci? Forse che non si fosse innamorato di nessuna di loro? Non erano abbastanza belle per lui?
Con infinito rammarico, le congedò tutte da corte, e mandò i suoi messaggeri alla ricerca di altre fanciulle ancora più belle.
Ognuna di esse si recò nella stanza dove dormiva Astro, ma anche i loro baci furono inutili: il principe continuava a dormire.
Si decise allora a chiamare le Fate del Giardino, ma esse ripeterono :
“Il vostro principino dormirà
finché il vero amore incontrerà
che con un bacio lo risveglierà”.
– Vero amore – diceva il re tra sé e sé –, vero amore, ma è possibile? Ho cercato tutte le fanciulle più belle, e mio figlio non si è risvegliato; forse non gli piacciono? Magari preferisce quelle più bruttine?
Mandò dunque in giro i suoi uomini alla ricerca di quelle con cui le fate non erano state proprio generose per bellezza e grazia; anche i loro baci non ebbero successo. Il principe continuava a dormire.
Consultò nuovamente le fate, ma nuovamente ripeterono:
“Il vostro principino dormirà
finché il vero amore incontrerà
che con un bacio lo risveglierà”.
– Vedrai – disse la regina – L’amore vero per nostro figlio arriverà, e lo risveglierà dal sonno. Dobbiamo avere pazienza.
– Ma per quanto, moglie mia?
– Dobbiamo avere pazienza.
Passarono anni, anche se il tempo, nel castello, per magia delle fate, si era arrestato. Una notte di tempesta sentirono bussare al portone del castello. Il re in persona andò ad aprire, e si trovò di fronte un giovane.
– Perdonatemi del disturbo, sire – disse con una voce dolce ed elegante – Sono il principe Calindro, figlio di re Celdoro Occhio di Tigre; sono di ritorno verso casa da un lungo viaggio; chiedo ospitalità per questa notte: la tempesta sembra non dare tregua.
– Entrate, giovane principe – rispose il re – Re Celdoro è sempre stato un grande amico, e d’ora in poi sarà per me come un fratello, e voi sarete come un figlio, poiché il mio Astro sta dormendo un sonno da cui nessuno può destarlo. Ma ora su, entrate, credo che abbiate bisogno di un bagno caldo, e di abiti asciutti.
– Grazie per la vostra premura. Sicuramente mio padre saprà come sdebitarsi.
Una volta che si fu lavato e cambiato d’abito, Calindro pose questa domanda al re:
– Sire, raccontatemi di vostro figlio. Perché dorme, perché non si risveglia?
Il re, allora, raccontò della nascita, dei doni delle fate, e del sortilegio. A questo punto Calindro chiese di essere portato nella stanza dove Astro dormiva; il re acconsentì.
Una volta entrato, il giovane si avvicinò al letto, e si inginocchiò: Astro era così bello che Calindro non poté resistere e gli accarezzò i capelli, il viso, e a baciargli le labbra.
A differenza di tutte le altre volte, Astro mosse gli occhi, e sollevò il capo: finalmente aveva ricevuto il bacio del vero amore e si era risvegliato.
Il re, colmo di gioia per il risveglio del figlio, uscì dalla stanza e corse a chiamare la regina, e al suo ritorno con lei trovò i due giovani teneramente abbracciati.
Anche se non era mai accaduto prima nella storia del regno, i sovrani decisero di acconsentire alle nozze del figlio con l’altro principe. Poiché erano sovrani magnanimi, decisero che ciò sarebbe stato possibile anche per i sudditi.
Le nozze furono grandiose; e vissero tutti felici e contenti.
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