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Posted by on sabato, Settembre 26, 2020 in Pillole di Blog, Wurstel |

L’assistente importuno

Per noi poco tecnologici, il proliferare di assistenti vocali su computer, tablet e cellulari è motivo di stupore, stress e talvolta di divertimento. Ogni sistema operativo ha il suo: Windows 10 ha Cortana, Apple ha Siri, Google, con meno fantasia, l’Assistente Google. Poi c’è Amazon, che, non contento di dominare il mercato delle spedizioni e degli e-book, si è inventato il proprio assistente, la famosa Alexa(detta anche Echo Plus). Come tutti sanno, Alexa dispone anche di un supporto fisico, in forma di cilindro o di disco da hockey. Mia figlia ce l’ha, nella sua camera in affitto a New York e la attiva spesso e volentieri, sia quando è sola sia quando parla con noi via Messenger. Basta che dici Alexa ed essa si attiva facendo le veci di un motore di ricerca: le chiedi che tempo farà, le ultime notizie, di trovarti una canzone, e lei lo fa. Tra gli Assistenti, è l’unica che porta un nome non rarissimo (conosco pochissime Siri e nessuna Cortana), quindi mi sono sempre che accade a chi in casa, oltre all’Assistente di Amazon, abbia una figlia discola (Alexa, non mettere il gatto nel water!), o magari un’amante con tale nome da invocare al culmine della passione. Per non parlare degli innumerevoli problemi di privacy: questi Assistenti – che spesso sono attivi “in sonno” anche se non li stiamo consultando – vengono a conoscenza di zilioni di nostri dati sensibili: che se ne fanno? a chi li passano? potrebbero essere usati contro di noi, o per sottoporci a persecuzione pubblicitaria?

Io non ho un Apple e non ho acquistato Alexa, quindi il mio rompiscatole virtuale è l’Assistente Google, l’unico a non essere dotato né di nome personale né di suadente voce femminile. La voce è quella di un maschio, stile speaker del radiogiornale. Spesso si attiva da sé, toccando non si sa dove l’ultrasensibile tastiera del cellulare o del tablet. Di colpo compare uno schermo bianco, con la scritta Ciao, come ti posso aiutare? Altre volte una voce maschile dice L’amministratore del tuo account ha disattivato l’Assistente Google, il che – trattandosi di apparecchi strettamente personali – mi inquieta facendomi temere uno sdoppiamento di personalità: come l’apostolo Paolo in cui dimorava il peccato (cfr Romani 7, passim), anche dentro me dimorerebbe un misterioso Amministratore che attiva e disattiva l’Assistente. L’Assistente – forse per punire i miei momenti di relax – tende ad accendersi specialmente se gioco a Pokémon Go. 

Oppure basta dire Google (spesso Hey Google  o OK Google, ma anche solo Google), per scatenare la Bestia. Talvolta in classe, se mi avviene dire ai discenti Questa cosa potete cercarla su Google. La settimana scorsa mi è capitato di seguire uno studio biblico a distanza su Facebook. La pastora a un certo punto ha detto: “Manca Tizio, forse ha dei problemi a collegarsi con Google”.  Non l’avesse mai detto! Subito l’Assistente della pastora si è attivato e si è messo a far ricerche a casaccio, finché non è riuscita a fermarlo. Del resto, quando capita a mio marito, lui tira sempre giù una parolaccia, e quindi figuriamoci quale ricerca viene fuori (Siri e Alexa sono state dotate di un caratterino pepato, per cui di fronte a una parolaccia o a un insulto reagiscono piccate o sarcastiche). Ricorda un po’ Harry Potter e i Doni della Morte, quando a causa di un incantesimo a chiunque pronunci incautamente il nome di Lord Voldemort piombano istantaneamente addosso due Mangiamorte in assetto da guerra.

Insomma, ci siamo messi in casa – anche involontariamente, perché mentre Alexa te la devi comprare, gli altri sono installati di default- proprio un bel tipetto…

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Posted by on sabato, Settembre 19, 2020 in Scuola e dintorni, Wurstel |

La brutta parola

Quando Arianna era piccola, tra le sue letture preferite c’era un libro illustrato (di cui ho dimenticato il titolo) che insegnava ai bambini ad affrontare frustrazioni di vario genere (gelato caduto, rimproveri da parte dei genitori, litigi coi coetanei ecc.). Ricordo un’illustrazione in cui una dolce bimba con la lacrimuccia diceva Carlo mi ha detto anche LA BRUTTA PAROLA … lasciando alla fervida immaginazione dei giovani lettori quale mai fosse questa parola così orribile.

Nella vita di tutti i giorni ci sono sempre brutte parole, anche se non sono quelle etichettato come bestemmie o parolacce, parole che danno fastidio a noi o agli altri. Io ho sempre odiato, ad esempio, parole come mangia-e-bevi (un tempo comunissima) o apericena. La famigerata legge 107 (nota anche come Buona Scuola) ha introdotto altre parole tossiche, tra cui una di quelle che odio di più è la parola dipartimento. Questa parola ha sostituito, in certe accezioni, l’usuale parola materia (ad esempio, le riunioni di materia sono diventate riunioni di dipartimento). Vuole scimmiottare l’università, ma fa ridere i polli.  Per questo cerco di evitarla il più possibile. L’anno scorso (prima della pandemia) mi capitò di dire ci vediamo oggi alla riunione di materia e una collega arcigna quanto sempre pronta a piegarsi alle superiori disposizioni mi rimproverò con aria professorale (in senso negativo): “Ma si dice dipartimento!!!”. Forse, se avessi bestemmiato, si sarebbe scandalizzata di meno.

Quando sento la brutta parola. mi viene in mente la gag ricorrente in Frankenstein Junior: ogni volta che qualcuno nomina l’austera e temibile Frau Blucher, subito si sente un nitrito di cavalli imbizzarriti.

Vista la difficile situazione, auspicherei che le riunioni di materia  si trasformassero piuttosto in riunioni di spirito: ce ne sarebbe un gran bisogno.

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Posted by on domenica, Agosto 30, 2020 in Wurstel |

Cercare l’unto

Mi sa che quello cerca l’unto … A chi ha una buona formazione biblica può venire in mente il profeta Samuele, che percorreva la terra d’Israele alla ricerca di un giovane di belle speranze da consacrare (“ungere”, appunto) come re. O, qualche secolo dopo, pellegrini e proseliti sballottati tra Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret in cerca del Messia (in greco Cristo, cioè sempre “unto”). Per non parlare degli “unti del Signore” contemporanei, unti più che altro di cerone da studio televisivo.

Invece no, a Terni chi “cerca l’unto” cerca sesso, cerca un’avventura. “Quello cerca l’unto”: era l’avvertimento che mi rifilava mia madre a proposito di certi giovanotti che ronzavano intorno alle ragazze della mia età, e anche oggi “cercano l’unto” certi profili Facebook di gente mai vista prima che ti chiede l’amicizia con in testa un solo scopo (attenzione all’accento!).

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Posted by on sabato, Maggio 16, 2020 in Mentre Vivo, Wurstel |

Baal è tornato

Ogni frequentatore della metropolitana milanese (soprattutto della linea Rossa, la 1) conosce Lucifero e Baal. Attenzione: non sto accusando di satanismo i city users. Mi riferisco ai graffiti firmati Lucifero culo e Baal culo che ognuno può ammirare nel sottosuolo e nelle vicinanze. Scritte – che compaiono ormai da oltre vent’anni – di insulto alle suddette entità maligne, di cui nessuno ha potuto individuare l’autore (o più probabilmente gli autori).

Personalmente, sono due mesi e mezzo che non mi reco nel centro di Milano. Ma giovedì mio marito si è spinto fino a piazza San Babila e lì, sulle colonne davanti al negozio GUESS, ha potuto ammirare i due graffiti qui sotto riprodotti. Come vedete, l’Autore si ispira all’attualità ed esordisce con un BAAL CULO CORONA che non lascia spazio a dubbi: quello che per gli antichi Sumeri era il principio generatore maschile viene equiparato al virus responsabile della pandemia in atto, o insultato con tale epiteto. Nel secondo l’analisi si precisa: BAAL VIRUS BELSEBU’ IL SANGUE DI GIOAB CADA SULLA TUA ANIMA IMMMONDA. Come in certa letteratura post-biblica, Baal viene soprannominato Belzebù (che in ebraico significava Signore delle Mosche). Interessante è l’allusione al “sangue di Gioab”. Con ogni probabilità Gioab è Joab, figlio della sorella del re Davide. Il Dizionario Biblico lo definisce generale audace e senza scrupoli, seguì Davide nelle sue peregrinazioni (…) represse la rivolta di Absalom(…) fu connivente nell’uccisione di Uria lo Hitteo, marito di Betsabea (…) fece uccidere il suo rivale Abner, genero di Saul, eccetera. Insomma, un po’ l’uomo delle operazioni sporche, il Mr Wolf, l’anima nera del re d’Israele, che, pur avendo scritto decine di Salmi, non era certo una mammoletta. Il primo libro dei Re ci informa che Joab fu infine soppresso per ordine di Salomone, perché sosteneva Adonija come successore di Davide. A quanto pare, l’autore di Baal Culo è un sostenitore del partito anti-salomonico e attribuisce a ispirazione diabolica l’assassinio di Joab. Ci mette anche un surplus di emotività, visto che scrive IMMMONDA con tre M.

Un esame della scrittura mostra che la mano di questi ultimi graffiti è leggermente diversa da quella dei più anttichi: basta vedere come si confondono tra loro le G, le S e le Z. Misteriosa risulta, infine, la chiusa con P.S. Si allude ad un post-scriptum che l’autore non ha fatto tempo a scrivere (magari con ghiotte rivelazioni sul ruolo del sacerdote Sadoc o altri esponenti di corte), o c’è da qualche parte nella piazza un terzo graffito? O P.S. è la firma dell’estensore, che così offrirebbe qualche indizio sulla propria identità?

Complessivamente, il ritorno di Baal Culo ci offre un interessante punto di vista sull’epidemia, un salto di qualità nel complottismo (perché prendersela con Bill Gates quando puoi direttamente risalire a un crudele dio sumero?), un’analisi più raffinata e puntuale di quelle offerteci quotidianamente dal presidente della Regione Lombardia. Si attendono sviluppi.

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Posted by on sabato, Maggio 9, 2020 in Wurstel |

Podopornografia

Quando mia figlia cominciò le elementari, non c’erano gli attuali smartphone (che mio marito raccomanda di chiamare “furbofoni”) dotati di fotocamera, videocamera, navigazione in Rete e decine di sofisticate applicazioni che oggi ci sembrano esistere da sempre. Sembra incredibile, ma quando si andava a mangiare con parenti, amici e colleghi, i telefonini rimanevano dormienti sul tavolo, pronti a squillare solo in caso di reale emergenza, non da consultare compulsivamente a discapito della conversazione. Imparato faticosamente a scrivere, Arianna scoprì che era divertente impadronirsi del cellulare della mamma, pigiare i tasti un po’ a caso e fare begli scherzetti. Avvenne così che, una sera che eravamo in pizzeria con le compagne di scuola e i rispettivi genitori, Arianna e le sue amichette presero possesso di qualche cellulare incustodito (tra cui il mio) e della funzione più avanzata e affascinante, l’SMS. In particolare, Arianna setacciò sistematicamente la mia rubrica e inviò a perfetti (per lei) sconosciuti laconici messaggi del tipo CULO, MERDA e CACCA MOLLE (che per i settenni di allora era l’Offesa Suprema, un po’ come dare oggi ad uno del fascioleghista). Fu così che, qualche ora dopo, cominciarono ad arrivarmi chiamate stupite, indignate, preoccupate di miei contatti che avevano ricevuto tali messaggi e pensavano fossi andata fuori di testa. Uno addirittura – non era un conoscente, ma un numero che Arianna aveva digitato a casaccio, baciata dalla fortuna del principiante – mi rimproverò di avergli mandato in crisi il matrimonio perché la moglie, intercettato il messaggino, lo aveva accusato di avere un’amante con cui si scambiava oscenità in codice.

Sono passati quasi vent’anni, i cellulari sono più multitasking e i bambini nativi digitali scafati. La settimana scorsa ho ricevuto su Whatsapp – oltretutto da una collega non molto amica, di cui non avevo il numero in rubrica, una stranissima foto, che a prima vista sembrava oscena. Ho istintivamente risposto Chi sei? pronta a bloccare l’eventuale maniaco. Prontamente la collega si è scusata, dicendo che il nipotino (che presumo in età da scuola materna) le aveva fregato il furbofono per fare scherzi. Ho riguardato un po’ meglio l’immagine, e fortumatamente non si trattava di pudenda, ma del primo piano di un piede. Comunque spiazzante. Del resto, si sa che esistono i feticisti dei piedi. Decenni fa, sulle bancarelle di Milano si trovava un libro della leggendaria editrice De Vecchi dal titolo L’erotismo dei piedi cinesi.

 

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Posted by on domenica, Aprile 26, 2020 in Wurstel |

Il Protettore e il Sultano

Da poco ho cominciato a vedere su Netflix The Protector, serie turca (che vedo in inglese) ambientata nell’Istanbul di oggi. Potremmo definirla come una storia di “fantasy conremporaneo”: il protagonista scopre di avere legami con un ordine antico e segreto incaricato di proteggere la città e ottiene poteri mistici tramite oggetti magici. Sono tre stagioni e me le sto vedendo con calma, aiutata dal molto tempo che sono obbligata a trascorrere in casa. Ma la cosa strana è che dal giorno dopo che ho iniziato a vedere la serie, su Facebook hanno cominciato a comparire assillanti pubblicità che mi invitavano a visitare la pagina Game of Sultans, e ad installare l’omonimo videogioco. Questo “gioco dei sultani” (notare l’assonanza con Game of  Thrones) è quello che viene definito tecnicamente empire simulation RPG mobile game, ovvero un gioco di ruolo per cellulare basato sulla simulazione di un impero. Nel gioco, sviluppato dalla Mechanist Internet Technologies co Ltd (che, nonostante il nome americano, ha sede in Cina) e introdotto nel 2018, ti viene chiesto di interpretare la parte di un Sultano di un impero vagamente ottomano. Un Islam stereotipato con qualche anacronismo (tra i nemici c’è Alessandro Magno in divisa da generale romano) e un pizzico di Iznogoud Totò Sceicco.  Giocando da soli o collegandosi con altri Sultani, lo scopo è far crescere e prosperare il proprio regno, con “belle consorti, potenti Vizir, e molti eredi da far sposare agli eredi di altri giocatori”. Fin dalle prime pubblicità aggressivamente comparse sulla mia pagina, questo gioco mi ha dato fastidio per il suo sfacciato maschilismo. Ovviamente non l’ho installato, ma ci sono molti video di YouTube che danno l’idea di come si sviluppa. Nonostante all’inizio sembri un gioco di tipo militare (devi consolidare il tuo potere contro i nemici, conquistare città e castelli, assumere generali e Vizir) ben presto diventa importante (e nella pubblicità quasi esclusiva) la gestione delle Consorti. A quanto pare puoi avere ben 28 tra mogli e concubine. E la pubblicità non manca di mostrarti momenti topici: quando devi scegliere tra una moglie bella e una brutta, quando la moglie ti ha partorito un figlio brutto (e tu, naturalmente, sei bellissimo), quando puoi sceglierti una concubina fra varie esposte come pezzi di carne al mercato, quando ti invitano a mettere a dieta forzata la moglie troppo grassa, quando adotti due ragazze e devi decidere quale destinare all’harem e quale all’arena, o designare la tua nuova concubina tra due serve entrambe incinte. Non c’è da stupirsi che da più parti il gioco, e specialmente le pubblicità che lo promuovono, sia stato bollato come sessista degradante per le donne. Immagino che il tipico utente sia un giovinotto dalla scarsa vita sociale, intimidito dalle donne di oggi, troppo assertive e complicate. Meglio rifugiarsi in una fantasia patriarcale dove sei il Sultano e puoi manovrare il sesso debole a tuo piacimento, eliminando le donne troppo problematiche e visitando periodicamente l’harem nella speranza che ti sfornino un erede bello e intelligente.

Resta da rimarcare la coincidenza temporale tra l’inizio della visione di The Protector e l’apparizione della pubblicità: evidentemente Netflix e Facebook comunicano e si scambiano dati alle nostre spalle. Ma. per quanto mi riguarda, mi tengo Pokémon Go.

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